Omissioni in bilancio sempre sanzionate

Pubblicato il 17 maggio 2016

La mancata esposizione in bilancio di poste attive e passive effettivamente esistenti nel patrimonio della società, è fatto certamente riconducibile allo schema della nuova incriminazione per falso in bilancio, anche qualora si propendesse per un’interpretazione restrittiva della nozione di “fatti materiali”.

Invero la nuova formulazione dell’art. 2622 c.c. introdotta dalla Legge 69 del 27 maggio 2015 art. 11, si pone, quanto alla condotta di mancata esposizione in bilancio di poste attive del patrimonio sociale, in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi penali ai sensi dell’art. 2 comma quarto c.p.

E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, respingendo il ricorso di una società, cui era stata contestata la fattispecie di false comunicazioni sociali “dannose” di cui al previgente testo dell’art. 2622 c.c.  (al tempo dei fatti in vigore, essendo intervenuta la modifica in corso di causa); reato nella specie commesso, omettendo di riportare una serie di dati relativi a crediti e debiti della società nei bilanci di esercizi di determinate annualità.

Vecchia e nuova fattispecie Condotta tipica identica

La Suprema Corte, con sentenza n. 20256 del 16 maggio 2016, ha dunque colto l’occasione per effettuare un raffronto tra la previgente fattispecie di false comunicazioni sociali e quella attualmente in vigore, specificando che le modifiche apportate dalla Legge 69/2015 hanno innanzitutto ampliato l’ambito di operatività dell’incriminazione in questione, avendo comportato l’eliminazione dell’evento e delle soglie previste nel testo precedente, mantenendo invece sostanzialmente identico il profilo della condotta tipica.

Falso qualitativo rilevante

E sono state parimenti risolte le perplessità suscitate dalla epurazione dal testo previgente del riferimento alle “valutazioni” e dalla sostituzione, nell'ipotesi omissiva, del termine “informazioni” con la locuzione “fatti materiali”.

Un recentissimo arresto delle Sezioni Unite (le cui motivazioni devono essere ancora depositate) ha infatti interpretato la norma nel senso di non escludere la rilevanza del c.d. “falso qualitativo” se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o generalmente accettati, l’agente se ne discosti senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni. 

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