Omessa IVA. Condanna se le somme si utilizzano per pagare i dipendenti

Pubblicato il 12 dicembre 2019

Il reato di omesso versamento di IVA è di natura omissiva e istantanea, punibile a titolo di dolo generico. Per la sua configurabilità è sufficiente la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di imposta nel periodo considerato.

La prova del dolo, in genere, è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto sarebbe dovuto a titolo di imposta e che dovrebbe essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.

Perché il reato in oggetto possa dirsi sussistente, quindi, non è richiesto il fine di evasione, né l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.

Crisi aziendale? Forza maggiore esclusa

In detto contesto, le eventuali difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non possono integrare un’ipotesi di forza maggiore penalmente rilevante e scriminare, pertanto, la condotta.

La forza maggiore, infatti, postulando l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non si può ricollegare in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.

E’ questo il costante orientamento della giurisprudenza sulla valutazione della crisi di impresa, in relazione al reato di omesso versamento di IVA.

Orientamento ripreso dalla Suprema corte nel testo della sentenza n. 50007 dell’11 dicembre 2019, con cui ha respinto il motivo di doglianza avanzato dal legale rappresentante di una Srl che era stato condannato, in sede di merito, per il reato di cui all’articolo 10-ter del Decreto legislativo n. 74/2000.

Egli aveva giustificato la propria condotta adducendo di aver tentato di salvare la continuità aziendale della società in crisi e che le somme percepite a titolo di Iva erano state destinate al pagamento dei fornitori e degli stipendi dei dipendenti; a suo dire, la scelta di preservare la vita aziendale avrebbe dovuto essere considerata come causa di esclusione del dolo.

Rispetto a tale ultimo punto, in particolare, il ricorrente riteneva di aver dato prova dell’assenza dell’elemento soggettivo, avendo dimostrato che le difficoltà economiche in cui versava la società non erano a lui imputabili e che le stesse non potevano essere fronteggiate nemmeno con misure sfavorevoli al proprio patrimonio personale.

Omesso versamento Iva: scelta volontaria e discrezionale

Considerazioni, queste, smentite dalla Corte di cassazione, secondo la quale non poteva minimamente ritenersi, nella vicenda in esame, che il dolo fosse inesistente e che invece sussistesse una causa di forza maggiore.

Per come erano stati ricostruiti i fatti, in realtà, era emerso che la crisi aziendale risaliva al 2008 (non era, pertanto, un evento imprevisto ed imprevedibile), che le perdite erano in diminuzione e che la crisi non era assoluta.

In definitiva, l’omesso versamento dell’IVA era stato solo il frutto della scelta volontaria e discrezionale dell’imprenditore il quale, pur avendo le risorse – essendo stato provato che l’imposta da versare era rientrata nel patrimonio sociale – aveva scelto di pagare altri creditori.

La motivazione contenuta nella decisione impugnata, ciò posto, era immune da vizi: in essa erano stati correttamente applicati i principi di diritto enunciati dalla richiamata giurisprudenza, ed era stata dimostrata la sussistenza del dolo.

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