Sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 105 del 7 maggio 2019 è stato pubblicato il decreto MiSE 30 aprile 2019, recante la “Disciplina attuativa dei piani di risparmio a lungo termine”.
Il ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il MEF, con tale provvedimento ha dato attuazione alle modifiche introdotte dalla Legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018), prima fra tutte quella legata al fatto che le agevolazioni fiscali siano collegate ad una quota di investimenti dedicati a start-up e PMI innovative.
Il decreto ministeriale fornisce la disciplina attuativa dei nuovi Pir, ossia quelli costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2019. Per i Pir costituiti fino al 2018, invece, continuerà ad applicarsi la normativa previgente con la possibilità di adeguamento del portafoglio di investimento alla nuova disciplina.
I Piani individuali di risparmio (Pir) sono rivolti alle persone fisiche per gli investimenti effettuati fuori dall’esercizio di impresa.
Investendo tramite i Pir, le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia possono ottenere alcuni vantaggi fiscali, se conseguono redditi di natura finanziaria da investimenti detenuti, per almeno cinque anni, nell’ambito di un Piano individuale di risparmio appositamente costituito presso un intermediario abilitato.
I Pir sono stati introdotti dalla Legge di bilancio 2017, che ha previsto un regime di non imponibilità dei redditi di capitale (diversi da quelli derivanti da partecipazioni qualificate) e dei redditi diversi di natura finanziaria derivanti da determinati investimenti operati tramite piani individuali di risparmio a lungo termine, che rispettino specifici requisiti e condizioni (in particolare, vincoli di composizione e concentrazione, limiti temporali, divieti di investimento), nonché un regime di non imponibilità ai fini dell’imposta di successione.
L’obiettivo dei Pir è quello di canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti produttivi in modo stabile e duraturo, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano.
La Legge n. 145/2019 è intervenuta sulla disciplina dei Pir, al fine di indirizzare parte delle risorse destinate ai piani di risparmio verso le piccole e medie imprese italiane con il risultato di stimolare l’economia nazionale.
Infatti, è obbligatorio investire almeno il 70% del capitale in aziende con sede in Italia o in imprese domiciliate all’interno dello spazio economico europeo (SEE), che abbiano stabile organizzazione nel nostro Paese.
Con le modifiche apportate dalla Legge n. 145/2019, il legislatore è intervenuto sulle regole concernenti i vincoli di composizione dei Pir, stabilendo che la quota vincolata del piano (70% del totale), costituito dall'investitore privato indipendente, debba essere investita:
Il Dm 30 aprile 2019, che detta le modalità e i criteri per l’attuazione delle nuove disposizioni, rendendole pienamente operative, ha ribadito come tutto ruoti intorno alla quota obbligatoria del 70%, che deve essere destinata per legge agli investimenti qualificati, come identificati dalla vigente normativa.
il Dm ribadisce all’articolo 2 che, all'interno della quota del 70%, i nuovi Pir dovranno investire obbligatoriamente, per almeno due terzi dell'anno, un minimo del 5% in strumenti finanziari emessi da PMI "ammissibili" e un altro minimo del 5% in quote o azioni di fondi per il venture capital (o fondi di fondi).
Attraverso l'incrocio delle due percentuali, la soglia minima in valore assoluto è pertanto pari al 3,5% per ciascuna categoria.
Si aggiunge, poi, al riguardo, che al fine del computo della quota del 5% del valore complessivo degli investimenti qualificati in strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione emessi da PMI ammissibili, e della quota del 70% dei capitali raccolti dai fondi per il venture capital, si considerano ammissibili gli investimenti in "equity" e "quasi-equity".
Le PMI ammissibili devono, in primo luogo, rispettare i limiti dimensionali fissati dalla normativa Ue:
fatturato inferiore ai 50 milioni di euro;
totale di bilancio non superiore ai 43 milioni di euro;
meno di 250 persone occupate.
Ai sensi del decreto, inoltre, le PMI al momento dell’investimento iniziale devono:
non essere quotate su un mercato regolamentato;
essere fiscalmente residenti in Italia o in un paese Ue/See e non aver ricevuto contributi finanziari superiori ai 15 milioni di euro.
Infine, deve risultare soddisfatto almeno uno dei tre seguenti requisiti:
Il decreto MiSE considera, poi, ammissibili gli investimenti diretti nel "quasi equity" delle PMI.
Al riguardo, si precisa cosa si intenda per investimenti in "equity" e "quasi-equity":
gli investimenti in equity costituiscono un conferimento di capitale a un’impresa quale corrispettivo di una quota del suo capitale di rischio anche attraverso la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi;
gli investimenti in quasi-equity sono un tipo di finanziamento che si colloca tra equity e debito e hanno un rischio più elevato del debito di primo rango (senior) e un rischio inferiore rispetto al capitale primario (common equity), il cui rendimento per colui che lo detiene si basa principalmente sui profitti o sulle perdite dell’impresa destinataria e non è garantito in caso di cattivo andamento dell’impresa.
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