Non operative. Si può disattendere l’interpello con l’impugnazione dell’avviso di accertamento
Pubblicato il 13 febbraio 2012
Una società per far valere il proprio dissenso contro il rigetto dell'istanza di disapplicazione del regime delle non operative e dimostrarne l'infondatezza non ha proceduto direttamente con l’impugnazione del provvedimento di rifiuto emesso dalla direzione regionale dell’agenzia delle Entrate, ma ha impugnato l’avviso di accertamento, con il quale il Fisco contestava la mancata applicazione della determinazione presuntiva del reddito stabilita dalla normativa sulle società non operative.
Cioè, la società contribuente si è avvalsa della tesi della non autonoma impugnabilità dei provvedimenti di rigetto di disapplicazione della normativa delle società di comodo che l’Agenzia aveva sostenuto in alcuni precedenti documenti di prassi (circolari n. 7/E/2009, n. 14/E/2007 e n. 5/E/2007), e che viene sempre ribadita in uno specifico chiarimento inserito in calce agli atti di rigetto.
La tesi dell’Amministrazione finanziaria è che la risposta all'interpello non determina effetti vincolanti nei confronti del contribuente, che ha la facoltà di disattenderla, potendosi poi difendere in giudizio dall'eventuale pretesa erariale attraverso l'impugnazione dell'avviso di accertamento.
Non dello stesso avviso è stata la Corte di Cassazione che, con la sentenza 8663/2011, ha specificato che le determinazioni con le quali il Fisco nega la disapplicazione di una norma antielusiva - tra cui anche quelle relative alle società di comodo - costituisce atto di diniego di agevolazione fiscale. Pertanto, la mancata impugnazione del diniego nei termini di legge “rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all'istante”.
La questione passata al vaglio della Ctr Lombardia si è conclusa con la negazione dell’appello avanzato dall’ufficio. Nella
sentenza n. 170/28/11, la Commissione tributaria milanese ha specificato che una società può disattendere il provvedimento di rigetto dell'istanza di disapplicazione del regime delle società di comodo e dimostrare la sua non fondatezza con l'impugnazione dell'avviso di accertamento. Resta, comunque, a carico della società interessata l’onere di provare l’effettivo intento imprenditoriale che sottende l’attività dell’impresa, come pure il fatto di non essere un semplice “schermo”, cioè un apposito strumento dietro cui nascondere una gestione patrimoniale messa in atto esclusivamente nell’interesse dei soci.
Per i giudici regionali, infatti, solo in questo modo si può provare effettivamente l’esistenza di un'attività imprenditoriale vera in grado di escludere la sussistenza di quei fenomeni che la normativa sulle società di comodo vuole contrastare.