Va impugnato dinanzi al giudice amministrativo, e non dinanzi a quello civile, l’atto di nomina di un assessore da parte di un Sindaco condannato in primo grado per abuso d’ufficio (che dunque non avrebbe potuto emettere alcun atto, in ragione della sospensione di diritto).
In assenza di una specifica norma legislativa che regoli i rapporti tra rito ordinario e speciale sul “contenzioso elettorale”, non può che prevalere - qualora sussista la connessione tra gli atti - il “contenzioso elettorale”, ispirato alla logica di rapidità dei giudizi. Trova difatti applicazione il principio secondo cui, quando una controversia riguardi, comunque, la materia elettorale, rileva la necessità di definire rapidamente quali siano le autorità titolari di poteri pubblici nell’assetto costituzionale. E questo vale anche se siano stati contestualmente impugnati altri atti per illegittimità derivata, di cui si prospetti una sostanziale unicità procedimentale.
Ed ancora, la sospensione ex art. 11 comma 1 D.Lgs. n. 235/2011, di colui che abbia riportato – come nell’ipotesi de quo – una condanna in primo grado per il delitto di abuso d’ufficio, opera di diritto, nel senso che inibisce lo svolgimento delle funzioni pubbliche pur se essa non è dichiarata in sede giudiziaria o in sede amministrativa. In altri termini, l’inibizione all’esercizio della carica pubblica è un effetto automatico della sentenza di condanna e non discende dall’atto del Prefetto (che accerta la sussistenza della causa di sospensione, al fine di renderla nota agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina), tanto che neppure l’atto va notificato all’interessato.
Sono questi i proncipi che si evincono dalla sentenza n. 862 del 5 ottobre 2017, resa dal Tar per la Calabria, Sezione Staccata Reggio Calabria.
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