Il giudice dell'appello cautelare è tenuto a motivare, nella propria ordinanza, per quale ragione tutte le altre misure coercitive (e qui in particolare gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico), fuorché la custodia carceraria, sono a suo parere inadeguate a fronteggiare le esigenze cautelari del caso concreto.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 842 depositata il 12 gennaio 2016, accogliendo il ricorso di un indagato per traffico di stupefacenti, secondo cui, per l'appunto, il Tribunale aveva ritenuto inadeguata la misura degli arresti domiciliari con il controllo di cui all'art. 275 bis c.p.p. (optando per la custodia carceraria) sulla base di una motivazione del tutto apparente.
Osserva il Supremo Collegio – ritenendo fondata la censura - come il mutamento operato dalla Legge 47/2015 art. 275 comma 3 (La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, alternativamente o cumulativamente, risultino inadeguate), determini l'inevitabile superamento della giurisprudenza di questa Corte, che in passato aveva ritenuto che in tema di scelta della custodia cautelare, ai fini della motivazione del provvedimento, non fosse necessaria un'analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura diversa dalla custodia carceraria.
La nuova previsione normativa, diversamente, impone oggi al giudice della cautela, sia esso il giudice dell'ordinanza genetica che quello del riesame investito della questione, di motivare in ordine alle ragioni per le quali risulti inadeguata ogni altra misura interdittiva o coercitiva.
E dopo la novella del 2015 non trova neanche più applicazione – prosegue la Corte – quella giurisprudenza secondo cui l'adozione del c.d. "braccialetto elettronico" non configurerebbe un nuovo tipo di misura coercitiva ma una modalità di esecuzione della cautela domiciliare, sicché non imporrebbe alcun onere di motivazione aggiuntiva.
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