Fanno molto discutere le decisioni della Corte di Cassazione (sentenze n. 24202 – avvocati; 25029 e 25030 – dottori commercialisti) con cui si chiariscono i limiti degli interventi che possono essere adottati dalle Casse previdenziali in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni.
Il filo conduttore dei tre casi analizzati dai giudici di legittimità riguarda il principio del pro-rata e del legittimo affidamento che non possono essere derogati, dato che l’articolo 1, comma 763, della legge 296/06 non rende legittimi atti solo perché già adottati, ma ne garantisce la “perdurante efficacia” se essi sono stati assunti nel rispetto della legge. Di conseguenza, una volta maturato il diritto alla pensione di anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale regolamentare o negoziale, ridurne l'importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, perché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato.
Il post sentenze ha creato molto rumore tra le varie categorie professionali, ma senza grandi allarmismi. Ciò che fa discutere non è tanto il fatto che la Corte ha dato ragione agli iscritti della Cassa dei dottori commercialisti che sono contrari al contributo di solidarietà sulle pensioni, ma, piuttosto, il fatto che l’intervento della Cassa non dovrebbe oltrepassare “il limite della ragionevolezza” per non ledere l’affidamento dell’assicurato. E in ciò – si sottolinea - sembrerebbe dimenticarsi, invece, proprio il fatto che il contributo di solidarietà è stato introdotto per motivi di equità.
Dalla categoria avvocati emerge, invece, il pensiero secondo cui se la Corte ha riconosciuto le pensioni determinate secondo i criteri vigenti nel momento del collocamento (contributo di solidarietà) a maggior ragione il discorso vale anche per i coefficienti di riduzione delle pensioni di anzianità, decisi dalla Cassa ragionieri nel 2003.
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