No agli atti di divorzio stranieri che discriminano la donna

Pubblicato il 15 settembre 2017

Va garantito, nel territorio Ue, il divieto di discriminazione nei confronti della donna. Così, gli Stati membri sono tenuti ad impedire l’ingresso di atti di divorzio – nella specie, trattasi di un atto sancito da un Tribunale islamico – che mettono la donna in una condizione di inferiorità, ancorché questa acconsenta.

E’ quanto si evince dalle conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, del 14 settembre 2017 nella causa C 372/16. La Corte, in particolare, era stata chiamata a pronunciarsi, in via pregiudiziale, su una domanda proposta dal Tribunale di Monaco di Baviera, in ordine all’interpretazione del Regolamento n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.

La vicenda da cui originava la questione, era il divorzio intervenuto tra due coniugi siriani, mediante una dichiarazione fatta firmare alla donna (secondo le regole della sharia) dinanzi ad un Tribunale religioso in Siria, con cui la stessa, a fronte del ricevimento di una somma, liberava il marito da qualunque obbligo nei suoi confronti. Ebbene, l’uomo aveva ottenuto il riconoscimento di detta pronuncia in Germania (dove gli ex coniugi erano tornati a risiedere) mentre la donna vi si opponeva. E nel giudizio di opposizione, il Giudice decideva per l’appunto di rivolgersi alla Corte di giustizia Ue.

Secondo l’Avvocato generale, in particolare, il suindicato Regolamento Ue n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, deve essere innanzitutto interpretato nel senso che non rientrano nel suo ambito di applicazione i divorzi pronunciati senza una decisione con effetto costitutivo emessa da un’autorità giurisdizionale o da un’altra autorità pubblica, come il divorzio risultante dalla dichiarazione unilaterale di un coniuge registrata da un Tribunale religioso.

Sì alla legge del foro, se quella straniera genera discriminazione

In ogni caso, qualora la Corte dovesse dichiarare che a siffatti divorzi di natura privata si applichi il Regolamento in questione, l’art. 10 dovrebbe essere interpretato nel senso che, da un lato, la legge del foro deve essere applicata allorché la legge straniera designata ai sensi degli articoli 5 o 8 di tale Regolamento generi in abstracto una discriminazione fondata sull’appartenenza dei coniugi all’uno o all’altro sesso e, dall’altro, la circostanza che il coniuge discriminato abbia eventualmente acconsentito al divorzio non incide sull’applicabilità di detto articolo.

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