Niente omicidio colposo per medico che si attiene a diagnosi precedenti

Pubblicato il 17 novembre 2015

Con sentenza n. 45527 depositata il 16 novembre 2015, la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nell'accoglierne il ricorso, ha assolto un medico di continuità assistenziale (ex guardia emdica) dall'imputazione per omicidio colposo.

Il sanitario, in particolare, era stato condannato in secondo grado, per aver omesso l'immediato trasferimento di un paziente – dopo essere intervenuto nella sua abitazione – presso il vicino Pronto Soccorso, avendone erroneamente diagnosticato una lieve patologia gastrica piuttosto che una più grave problematica cardiaca, che ne aveva provocato il decesso poco dopo.

In proposito la Cassazione, nell'accogliere le censure dell'imputato, ha rilevato carenza motivazionale nel provvedimento impugnato, laddove non si è tenuto conto delle recenti novità introdotte Legge "Balduzzi" (Legge 8/11/2012 n. 189) che getta le premesse per la depenalizzazione di alcune condotte sanitarie.

Quando l'autonoma decisione è "eccesso di zelo"

Orbene nel caso di specie – ha precisato la Corte Suprema– il giudice di primo grado (che aveva assolto l'imputato), si era correttamente e paradossalmente attenuto ai neointrodotti principi (infatti la Legge Balduzzi non era ancora entrata in vigore), laddove aveva affermato che la valutazione di avviare il paziente ad un nuovo ricovero presso il Pronto Soccroso, sarebbe stato, da parte dell'imputato, un "eccesso di zelo" non richiesto, considerate anche le valutazioni diagnostiche di un precedente ricovero ospedaliero del medesimo paziente, ove non erano state rilevate patologie cardiache ma "verosimili coliche addominali".

Ma i giudici di seconda istanza hanno preso le distanze da detta valutazione (condannando dunque l'imputato) ritenendo, viceversa, negligente ed imprudente la condotta del sanitario che non aveva provedduto ad autonoma anamnesi (rispetto a quella dei colleghi precedentemente intervenuti) anche in base alle sintomatologie riscontrate.

Per valutare responsabilità medica, contano anche precedenti terapie e ricoveri

Ultima parola infine alla Cassazione, secondo cui – nel bocciare il provvedimento impugnato – il processso diagnostico parte da una attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente, e quindi, anche dagli esiti di precedenti terapie e ricoveri a cui è il paziente stesso è stato sottoposto.

Per cui – concludono gli ermellini - correttamente il giudice di primo grado ha effettuato una valutazione sulla possibile incidenza – ai fini dell'esonero di responsabilità dell'imputato – delle diagnosi effettuate dai suoi colleghi

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