In tema di reati tributari, il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria, può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall'imprenditore. Manca in tal caso, difatti, la necessaria offensività della condotta.
A chiarirlo la Corte di Cassazione, terza sezione penale, accogliendo il ricorso di un soggetto, condannato a sei mesi di reclusione per reato di occultamento e distruzione di documenti contabili ex art. 10 D.Lgs. n. 74/2000.
Avverso la propria condanna, l’imputato lamentava l’erronea applicazione della fattispecie contestata, nonché l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Ricorso accolto dalla Corte Suprema, secondo cui – con sentenza n. 22126 dell’8 maggio 2017 - il reato in oggetto è caratterizzato dal dolo specifico (“al fine di evadere le imposte”). Sicchè la motivazione dei giudici di merito avrebbe dovuto adeguatamente dar conto – ma non lo ha fatto – dell’accertamento in concreto dell’elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo specifico di evasione.
Oltretutto, al di là di questo, ciò che nella specie difetta è lo stesso elemento costitutivo del reato, essendo agevolmente ricostruibile, sulla base degli altri documenti rinvenuti, il reddito complessivo percepito dall’imputata. E ciò, stante la peculiarità della situazione, caratterizzata da un limitato volume d’affari, nonché da fatture d’importo omogeneo tra di loro (sicché dalle fatture presenti, sarebbe stato ben possibile ricostruire il valore di quelle mancanti).
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