Mancano presidi di sicurezza contro la caduta dall'alto e il preposto non interrompe i lavori? Risponde di omicidio colposo per l'infortunio mortale occorso all'operaio.
Definitiva la condanna penale impartita ad un capocantiere, ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 589, commi 1 e 2, e 61 n. 3 c.p. per avere, nella qualità di preposto, cagionato, per colpa, la morte di un lavoratore, caduto da un'altezza di circa 10 metri.
All'imputato erano state contestate negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché la violazione di norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro, in ragione della riscontrata carenza di presidi di sicurezza contro la caduta dall'alto, sia di tipo collettivo (ponteggi, reti di sicurezza, tavole) che individuali (linea vita, cinture di sicurezza).
Egli era tanto più responsabile per aver fatto proseguire i lavori, fino alla verificazione del sinistro, nonostante, il giorno precedente, fosse stato informato verbalmente dal responsabile per la sicurezza del cantiere della necessità di una sospensione, stante, appunto, l'assenza di idonee misure di sicurezza.
Lo stesso aveva impugnato la decisione di condanna impartitagli dalla Corte d'appello, deducendo manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova dell'avvenuto svolgimento delle mansioni di preposto e di capocantiere, atteso che, a suo dire, non aveva nemmeno sottoscritto il piano operativo di sicurezza (POS).
Censura giudicata manifestamente infondata dalla Corte di cassazione, pronunciatasi, sulla vicenda in esame, con sentenza n. 46855 del 22 novembre 2023.
Secondo la Quarta sezione penale della Suprema corte, infatti, il ricorrente si era sostanzialmente limitato ad eccepire, in maniera assertiva e poco specifica, di non aver ricoperto alcuna posizione di garanzia idonea a legittimare l'invece intervenuto riconoscimento della sua penale responsabilità.
Ebbene, tale doglianza si palesava, in tutta evidenza, come finalizzata unicamente ad operare una rilettura in fatto delle emergenze probatorie acquisite.
Questo, nonostante la motivazione resa dalla Corte di appello avesse adeguatamente e logicamente rappresentato le ragioni della ritenuta integrazione della condotta criminosa da parte dell'imputato.
Era stato accertato che il ricorrente, al momento dei fatti, ricoprisse la qualifica, espressamente assegnatagli dal POS, di preposto, circostanza del resto confermata da vari testi escussi.
L'imputato, nel dettaglio:
Tutti elementi, questi, che erano stati considerati dalla Corte di merito la quale, con motivazione ampiamente adeguata e logica, aveva fornito una chiara ricostruzione fattuale.
Il ricorrente, per contro, aveva solo proposto una lettura alternativa, meramente finalizzata ad ottenere un esonero da responsabilità.
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