La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309 comma 10 c.p.p., nella parte in cui prevede che l’ordinanza che dispone una misura coercitiva diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia per vizi del procedimento – non possa essere reiterata, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.
Nello specifico, il giudice rimettente censurava la norma impugnata, poiché il requisito della “eccezionalità” delle esigenze cautelari avrebbe impedito, a suo dire, la reiterazione di misure coercitive meno afflittive di quella carceraria, così inducendo l’interprete a prescegliere - nell'ambito del ventaglio di misure cautelari di cui agli artt. 275 e ss. c.p.p.- la più grave forma di limitazione della libertà personale, ossia la custodia in carcere.
Censura di irragionevolezza bocciata dalla Consulta, secondo cui il legislatore, con la norma contestata, ha ritenuto in modo incensurabile di contemperare l’esigenza di difesa sociale con quella di non frustrare le garanzie delle persona raggiunta dal provvedimento coercitivo, evitando che nei casi indicati dall'art. 309 comma 10 c.p.p. si possa “semplicisticamente” provvedere alla rinnovazione della misura caducata.
La norma in questione ha, in altri termini, lo scopo di contrastare prassi distorsive, verificatesi in passato, come quella della successione di “ordinanze fotocopia”, caducate e non controllate.
Così l’innova testo – conclude la Consulta con sentenza n. 233 del 3 novembre 2016 – ha inteso affrontare in maniera unitaria la tematica delle impugnazioni cautelari, in modo da rendere più certa la tempistica del giudizio di riesame e l’effettiva previsione della perdita di efficacia conseguente all'inosservanza dei termini perentori fissati, facendo salve, nei limiti congrui posti dal legislatore, le esigenze di tutela.
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