Madre discriminata sul lavoro, onere della prova

Pubblicato il 17 giugno 2020

La Corte di cassazione, con sentenza n. 11530 del 15 giugno 2020, ha rigettato il ricorso avanzato da una lavoratrice che asseriva di essere stata oggetto, sul posto di lavoro, di una discriminazione basata sul sesso e sul suo status di madre di figlio minore.

La discriminazione, secondo la donna, si era realizzata in suo danno attraverso la mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro da parte della società datrice - con la quale aveva precedentemente sottoscritto un contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 36 mesi - a fronte dell'assunzione a tempo indeterminato di colleghi di sesso maschile che avevano stipulato, nello stesso periodo, il medesimo contratto di apprendistato.

La domanda della lavoratrice, accolta in primo grado, era stata disattesa dalla Corte d’appello all'esito della ricostruzione delle risultanze probatorie di causa.

I giudici di gravame, nel dettaglio, avevano ritenuto che la deducente non avesse fornito un quadro probatorio connotato da precisione e concordanza in ordine alla denunziata discriminazione.

Non vi era spazio, ciò posto, per la verifica ex art. 40 Decreto legislativo n. 198/2006 dell'assolvimento, da parte del datore, dell'onere probatorio volto alla dimostrazione della insussistenza dell'asserita discriminazione.

Discriminazioni basate sul sesso: no a inversione dell’onere probatorio

Conclusioni, queste, confermate dalla Sezione Lavoro della Suprema corte: la sentenza impugnata risultava del tutto coerente con il regime probatorio delineato dal menzionato art. 40 D. Igs n. 198/2006.

Tale ultima previsione – hanno sottolineato gli Ermellini - non stabilisce un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'attenuazione del regime probatorio ordinario e ciò prevedendo, a carico del soggetto convenuto, l'onere di fornire la prova dell'inesistenza della discriminazione.

Questo, tuttavia, “solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (Cass. n. 14206 del 2013) o, come nel caso di specie, in ragione dello stato di maternità”.

Nel caso esaminato, l'esclusione dell’onere probatorio a carico del datore di lavoro era scaturita dal rilievo del mancato assolvimento, da parte della lavoratrice, dell'onere su di essa gravante, in quanto la donna non aveva offerto, neppure sul piano statistico, elementi precisi e concordanti, significativi della discriminazione che aveva denunciato.

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