In tema di parto in anonimato, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto una disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice - su richiesta del figlio adottato, desideroso di conoscere le proprie origini biologiche e di accedere alla propria storia parentale – di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione.
E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sulla scia della pronuncia con cui la Corte Costituzionale, oltre tre anni fa (sentenza n. 278/2013), dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 28 comma 7 Legge n. 184/1983, nella parte in cui escludeva, in maniera assoluta, la possibilità per il figlio adottato di accedere alle informazioni sulla madre biologica, senza prima verificare la persistenza della volontà di quest’ultima di rimanere in anonimato.
La madre deve essere eventualmente sentita – proseguono le sezioni unite con sentenza n. 1946 del 25 gennaio 2017 – con modalità procedimentali rispettose dei principi enunciati nella sopra citata pronuncia costituzionale, ossia, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna. Il tutto, fermo restando che il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, trova un limite insuperabile, allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.
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