Liquidazione credito Iva. La determinazione non tocca il termine del ricorso

Pubblicato il 06 marzo 2019

Con ordinanza n. 5957 del 28 febbraio 2019, la Corte di Cassazione analizza una controversia sorta tra l’Amministrazione finanziaria e una società in merito ad un rimborso Iva relativo all’anno d’imposta 2007.

Dopo che la Ctr aveva rigettato l’appello dell’Ufficio e, quindi, confermato l’annullamento degli atti impugnati costituenti il diniego del rimborso Iva, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per Cassazione, a cui la società contribuente resisteva con controricorso.

Nelle sue motivazioni, l’Amministrazione finanziaria sostiene che la Ctr ha erroneamente ritenuto che il dies a quo di decorrenza del termine previsto dall’articolo 21, comma 2, Dlgs 546 del 1992 (“Termine per la proposizione del ricorso”), nel caso di errato addebito Iva da parte del contribuente e di computo della stessa ai fini della liquidazione mensile, non sia quello dell’esecuzione dell’operazione di registrazione contabile della liquidazione Iva nel caso in cui da tale registrazione sorga un credito in capo al contribuente, ma quello di chiusura dell’operazione di liquidazione, in quanto essa evidenzi un credito in capo al contribuente.

La Corte di Cassazione ritiene infondato il motivo e rigetta il ricorso dell’Agenzia.

Eccedenza Iva riportabile solo "in avanti" ai fini delle liquidazioni mensili

Secondo quanto si legge nell’ordinanza n. 5957, la Suprema Corte sostiene che l’eccedenza di credito Iva emersa in sede di liquidazione periodica risulta unicamente riportabile “in avanti” ai fini delle seguenti liquidazioni mensili.

È chiaro, quindi, che poiché dalla sua determinazione non sorge alcun diritto in capo alla contribuente, allo stesso modo da tale momento non può iniziare a decorrere alcun termine di decadenza dell’azione diretta a ottenere il rimborso dell’imposta.

Secondo la Corte: “tutto ciò risulta coerente con il principio generale dell’ordinamento in forza del quale l’esercizio di un diritto decorre dal momento in cui tal diritto può esser fatto valere, previsto tra l’altro dall’articolo 2935 del Codice civile”.

Non solo: il disposto dell’articolo 21, comma 2, Dlgs 546 del 1992 prevede che “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione” (…) “con ciò mostrando la disposizione in esame di fare applicazione nello specifico sistema del diritto tributario della medesima regula iuris che l’ordinamento ha inteso porre a base del sistema delle relazioni tra diritto alla restituzione di una somma e trascorrere del tempo”.

Da qui, la decisione degli Ermellini di rigettare il ricorso dell’Amministrazione e di condannarla alla soccombenza delle spese.

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