E' stato confermato il licenziamento disciplinare che un'azienda aveva comminato ad un proprio dipendente per mancata effettuazione del lavoro straordinario.
Al prestatore era stata contestata la violazione di una direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni produttive.
Il lavoratore, dopo che anche il giudice del reclamo aveva rigettato la sua impugnativa contro il recesso, si era rivolto alla Suprema corte, censurando, tra i motivi, la valutazione di merito in ordine alla ritenuta legittimità della richiesta di lavoro straordinario da parte della società datrice di lavoro.
Sul punto, il ricorrente aveva contestato l'interpretazione del contratto collettivo nel senso di consentire alla società di disporre ad libitum delle prestazioni di lavoro straordinario nei confronti della indistinta platea dei lavoratori, purché contenuta nel limite di ottanta ore annue.
Doglianza, questa, giudicata infondata dalla Corte di cassazione, pronunciatasi, sulla vicenda, con ordinanza n. 10623 del 20 aprile 2023.
Il Collegio di Piazza Cavour ha ricordato, in primo luogo, come l’art. 5 D. Lgs. n. 66/2003 rimetta espressamente alle parti collettive la regolamentazione dei limiti del ricorso al lavoro straordinario.
Fatta tale premessa, ha sottolineato che dalla piana lettura della previsione collettiva di riferimento emergeva la correttezza della interpretazione della Corte di merito circa la possibilità, per la parte datoriale, di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti della cd. quota esente, e ciò senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali nel rispetto dei limiti di due ore giornaliere e otto ore settimanali e con un preavviso di almeno 24 ore.
A fronte, quindi, della legittimità, alla stregua della citata previsione, della richiesta di effettuazione di lavoro straordinario, sarebbe stato onere del lavoratore - così come evidenziato dalla Corte d'appello - provare di avere opposto il proprio rifiuto in ragione delle ore di lavoro straordinario già effettuate in misura pari o superiore alla quota "esente" laddove la prova orale aveva evidenziato la sistematica mancata prestazione di lavoro straordinario da parte del ricorrente.
In definitiva, le censure articolate dal dipendente sono state giudicate inidonee alla valida censura della decisione di merito: la condotta accertata non era sussumibile nelle ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura conservativa, connotate per il carattere episodico ed isolato della manifestazione di insubordinazione.
Nello specifico, infatti, si era in presenza di un prolungato e sistematico contegno del dipendente improntato ad “assenza di spirito collaborativo”, a “pervicace violazione di un obbligo imposto da direttiva aziendale conformemente alle previsioni del contratto collettivo” ed “a plateale noncuranza degli interessi dell’impresa datrice di lavoro”.
Quello posto in essere, in conclusione, costituiva un notevole inadempimento degli obblighi connessi al rapporto di lavoro, rispetto al quale il recesso del datore per giustificato motivo soggettivo appariva legittimo e proporzionato.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".