Il licenziamento per superamento del periodo di comporto non rientra nel "blocco" dei licenziamenti imposto dal Decreto Legge n. 18/2020 per l'emergenza Covid-19, non potendo essere equiparato al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il principio è stato confermato dalla Corte di cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n. 26634 del 14 ottobre 2024, pronunciata relativamente a un caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di una lavoratrice impiegata con contratto part-time verticale.
La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento, sostenendo che il licenziamento dovesse essere considerato nullo in virtù del "blocco" dei licenziamenti imposto durante l'emergenza Covid-19.
Già la Corte d'appello aveva negato che il licenziamento in esame rientrasse nella previsione di nullità stabilita dall’art. 46 DL n. 18/2020, per l’obiettiva diversità di natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto da quello per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966.
La Corte di cassazione ha confermato le conclusioni dei giudici di secondo grado, respingendo le ragioni avanzate dalla lavoratrice.
Nella loro disamina, gli Ermellini hanno sottolineato la natura di norma speciale dell'art. 46, primo comma del Decreto Legge 18/2020.
Tale disposizione, nel dettaglio, ha introdotto un blocco temporaneo delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo durante l'emergenza Covid-19, con l'obiettivo di tutelare i lavoratori dalle conseguenze economiche e occupazionali derivanti dalla riduzione o blocco dell'attività produttiva causata dalla pandemia.
In base a questa norma, per un periodo di 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto, i datori di lavoro non potevano avviare procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, né portare avanti quelle avviate dopo il 23 febbraio 2020. Lo scopo specifico della norma era proprio la tutela dei lavoratori in un momento di emergenza.
Ebbene, la specialità di tale norma ne esclude l’applicabilità in via analogica. Questo significa che la sua applicazione è limitata ai casi espressamente previsti, e non può essere estesa ad altre situazioni in via analogica.
L'art. 46 del DL 18/2020, infatti, ha un'applicabilità circoscritta e non può essere utilizzato per bloccare i licenziamenti che non rientrano nella specifica casistica disciplinata, come quello per superamento del comporto.
Peraltro, il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ossia il limite massimo di assenze per malattia consentita dalla legge o dal contratto collettivo di lavoro, segue regole specifiche dettate dall'art. 2110 del Codice Civile.
A maggior ragione, dunque, "la nullità del divieto non è estensibile all’ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto soggetto alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., prevalenti, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali".
Senza contare che la possibilità di licenziamento per superamento del periodo di comporto, anche nel periodo temporale interessato dal blocco, si ricava, in positivo, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva.
La Sezione lavoro della Cassazione, in definitiva, ha dichiarata infondata la censura sollevata dalla dipendente.
E infondato, a seguire, è stato ritenuto anche l'altro motivo di ricorso, con cui la lavoratrice aveva lamentato un'erronea individuazione del criterio di computo delle giornate di malattia in regime di part time verticale, in asserita violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione.
Sul punto, i giudici di Cassazione hanno evidenziato che secondo i criteri interpretativi di letteralità (art. 1362 c.c.) e sistematico (art. 1363 c.c.), il periodo di comporto per la lavoratrice, in regime di tempo parziale verticale al 50%, deve essere determinato in un numero massimo di giorni di calendario non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare.
Come aveva correttamente considerato la Corte d’appello, quindi, il periodo di comporto applicabile era di 78,5 giorni.
Nella specie, la lavoratrice aveva superato questo limite, con un'assenza continuativa per malattia di 113 giorni.
Inoltre - si legge nella decisione - nel calcolo del periodo di comporto, ai fini del suo superamento, devono essere inclusi, oltre ai giorni festivi, anche quelli di fatto non lavorati, che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico.
In difetto di prova contraria, infatti - che è onere del lavoratore fornire - opera una presunzione di continuità in quei giorni dell'episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell'assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta.
La prova idonea a smentire tale presunzione di continuità può essere costituita solo dalla dimostrazione dell'avvenuta ripresa dell'attività lavorativa.
Il ricorso della lavoratrice, in definitiva, è stato rigettato, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
Sintesi del caso | Una lavoratrice part-time verticale è stata licenziata per superamento del periodo di comporto. Ha impugnato il licenziamento, sostenendo che dovesse essere nullo per via del blocco dei licenziamenti imposto dal Decreto Legge n. 18/2020 durante l'emergenza Covid-19. |
Questione dibattuta | Se il licenziamento per superamento del periodo di comporto possa rientrare nel blocco dei licenziamenti previsto dal Decreto Legge n. 18/2020, applicabile ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha stabilito che il licenziamento per superamento del comporto non rientra nel blocco dei licenziamenti, essendo regolato da norme speciali (art. 2110 c.c.) e distinto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. |
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