Licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche per riorganizzazione aziendale

Pubblicato il 01 luglio 2017

La sentenza n. 13015 della Corte di Cassazione, pubblicata il 24 maggio 2017, rafforza l’orientamento giurisprudenziale in base al quale per procedere ad un licenziamento economico non è necessario che l’azienda versi una situazione di crisi, essendo sufficiente provare l’effettiva riorganizzazione aziendale finalizzata ad un miglioramento dei risultati economici, anche se questi appaiono già positivi.

La Corte respinge, così, il ricorso di un lavoratore che era stato licenziato, dopo assegnazione delle sue mansioni ad altro addetto, confermando il principio secondo il quale l’imprenditore può riorganizzare la sua impresa anche licenziando alcuni lavoratori senza essere tenuto a dimostrare l’esistenza di situazioni sfavorevoli di mercato o di crisi aziendale, ma semplicemente motivando le sue ragioni in vista della ricerca del profitto e del miglioramento della produttività.

Aggiunge la nuova pronuncia che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è ravvisabile anche solo in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, attuata ai fini di una più efficiente e produttiva gestione aziendale, nel senso che certe mansioni possono essere accorpate a quelle di un altro dipendente o suddivise fra più lavoratori, con conseguenza finale di far risultare in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che viene così licenziato.

Legittimo il licenziamento anche senza crisi aziendale

Per i Supremi giudici il suddetto licenziamento dovrà considerarsi legittimo, non rilevando il fatto che l’impresa evidenzi degli utili di bilancio, dal momento che il datore di lavoro – nel riorganizzare l’impresa – può perseguire legittimamente l’obiettivo del maggior profitto.

Al contrario legittimare il licenziamento solo nel caso in cui lo stesso tenda ad evitare perdite d’esercizio significherebbe contrastare con il principio della libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione, che non può ridursi – come invece accade per gli enti pubblici economici operanti in regime di monopolio – ad un’attività improduttiva di redditi.

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