Non può essere qualificato come licenziamento orale il recesso datoriale per compimento del termine apposto al contratto di lavoro, sia esso autonomo o subordinato, nei casi in cui la volontà di recedere sia espressa in forma scritta, temporalmente identificata, semanticamente non equivocabile.
E' questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 18254 del 27 giugno 2023, nell'ambito di una vicenda in cui la Corte d'appello aveva dichiarato l'inefficacia del licenziamento intimato oralmente da una società di assicurazione ad un proprio dipendente.
La Suprema corte, nel cassare la decisione della Corte territoriale, ha accolto il motivo di ricorso con cui la società aveva lamentato violazione e falsa applicazione di legge, laddove la sentenza impugnata non aveva tenuto conto che la lettera con cui il committente aveva comunicato al lavoratore la data di cessazione dell’incarico senza necessità di ulteriore disdetta doveva essere considerata un atto scritto di licenziamento.
Secondo gli Ermellini, si trattava, effettivamente, di una lettera con cui la datrice di lavorto aveva comunicato per iscritto al collaboratore, in modo chiaro, certo, e semanticamente non equivocabile, la propria volontà di recedere dal rapporto in corso ad una data prestabilita, senza necessità di ulteriori comunicazioni.
Andava escluso, ciò posto, che potesse essere convincente la valutazione operata dai giudici di merito, secondo i quali il testo scritto in questione sarebbe stato superato in base ad una unilaterale ed inespressa aspettativa di possibile ulteriore proroga.
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