L'indennità spettante ex art. 18, comma quarto, dello Statuto dei lavoratori, al lavoratore illegittimamente licenziato è destinata a risarcire il danno intrinsecamente connesso alla impossibilità materiale di eseguire la prestazione lavorativa.
La previsione e la corresponsione di tale indennità non escludono, tuttavia, che il dipendente licenziato, prima o dopo la reintegra, possa avere subito danni ulteriori alla propria professionalità o alla propria immagine a causa del licenziamento o della mancata reintegrazione.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ammette la configurabilità di danni che possono essere ulteriori rispetto a quelli inevitabilmente connessi alla mancata prestazione lavorativa.
Tale configurabilità è ammessa all'unica condizione del rispetto dell'onere probatorio da parte del lavoratore, senza che rilevi la collocazione temporale dei medesimi danni rispetto alla pronuncia della sentenza di reintegra.
L'assunto, infatti, va riferito sia al periodo successivo alla sentenza di reintegra che al periodo precedente, posto che non si discute delle conseguenze della mera inottemperanza dell'ordine di reintegra e che la pronuncia della sentenza di annullamento del licenziamento non comporta alcuna immutazione ontologica nell'esistenza del danno alla professionalità dedotto in giudizio.
In tema di risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo, quindi, incombe:
E' quanto puntualizzato dalla Sezione lavoro della Cassazione nel testo dell'ordinanza n. 29335 del 23 ottobre 2023, pronunciata in riferimento al giudizio attivato da un lavoratore che aveva chiesto di essere risarcito, da parte del datore di lavoro, dei danni subiti in conseguenza del licenziamento disposto nei suoi confronti con l'accusa di furto di beni aziendali da cui lo stesso era uscito indenne sia in sede penale che nel giudizio di impugnazione del provvedimento espulsivo.
Il dipendente, in particolare, si era opposto alla conclusione con cui la Corte d'appello, premettendo che il dipendente aveva già ottenuto la condanna al risarcimento dei danni ex art .18 e quella relativa ai danni professionali (per perdita di chance e di lesione di immagine) subiti per l'inadempimento dell'ordine di reintegra, aveva confermato l'esclusione di qualsiasi altro danno di natura professionale per la totale inattività subita dal lavoratore nel periodo precedente, dal licenziamento alla reintegra, nonché i danni esistenziali e quelli morali per licenziamento ingiurioso.
Tra i motivi di ricorso accolti, la Suprema corte ha ritenuto fondata la doglianza con cui il dipendente si era lamentato dell'omesso pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno esistenziale da licenziamento illegittimo: nonostante le deduzioni contenute nel suo ricorso di primo grado e nell'atto di appello la Corte territoriale non si era per nulla espressa a proposito di tale tipologia di danno.
Sul punto, la Cassazione ha rammentato che il lavoratore, in caso di licenziamento ingiusto, oltre alla reintegra nel posto di lavoro, ha diritto a vedersi integralmente risarcire del danno sub specie di danno non patrimoniale e, in particolare, di danno esistenziale.
Il danno esistenziale, infatti, anche se non integra un'autonoma categoria di pregiudizio, rientra nel danno non patrimoniale la cui liquidazione è il risultato di una valutazione equitativa ed unitaria basata su tutte le circostanze del caso concreto.
Nella specie, il ricorrente aveva dedotto, sotto questo profilo:
Tutte circostanze, queste, su cui il giudice di merito aveva omesso di pronunciarsi, nonostante l'obbligo sullo stesso incombente di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici.
Da qui la cassazione, con rinvio, della decisione impugnata.
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