Licenziamento illegittimo e ferie non godute: indennità sostitutiva

Pubblicato il 10 marzo 2021

Nell'ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo, spetta o meno al lavoratore l'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi nell'arco temporale compreso tra il recesso e la reintegrazione? Sulla questione interviene la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 6319 dell'8 marzo 2021.

Licenziamento illegittimo e reintegrazione nel posto di lavoro

Una dipendente bancaria viene licenziata all'esito di una procedura di mobilità. Reintegrata nel posto di lavoro su ordine del Tribunale, la lavoratrice viene contestualmente sospesa dalla società che avvia procedura di accertamento della idoneità fisica all'espletamento delle mansioni assegnate ex art. 5 legge n. 300 del 1970 e successivamente licenziata, con effetto immediato e senza obbligo di prestare attività durante il periodo di preavviso.

La dipendente, riammessa in servizio a seguito di dichiarazione di illegittimità dei due atti di licenziamento, è nuovamente licenziata dall'istituto di credito.

Indennità dovuta per ferie e permessi non goduti

Con tre successivi ricorsi al Tribunale territorialmente competente, la lavoratrice ottiene l'ingiunzione di pagamento, da parte del datore di lavoro, di una somma a titolo di importo dovuto ferie e permessi per festività soppresse maturate e non godute a causa dei licenziamenti.

A seguito di opposizione, il Tribunale di Roma revoca il decreto ingiuntivo opposto e condanna la lavoratrice al pagamento delle spese.

La Corte di appello adita dalla lavoratrice rigetta le impugnazioni evidenziando, in particolare, che l'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi maturate, in caso di licenziamento illegittimo, nell'arco temporale tra il recesso e la reintegrazione, non spettavano perché erano legate necessariamente al mancato riposo, riposo che nel caso di specie non era ravvisabile in quanto la dipendente non aveva lavorato.

Avverso la sentenza del giudice di secondo grado propone ricorso per cassazione.

Rinvio della questione alla CGUE

I giudici di legittimità sospendono il processo e rimettono pregiudizialmente alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione: "Se l'art. 7 par. 2 della direttiva 2003/88 e l'art. 31 punto 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, anche separatamente considerati, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi nazionali in base alle quali, cessato il rapporto di lavoro, il diritto al pagamento di una indennità pecuniaria per le ferie maturate e non godute (e per un istituto giuridico quale le cd. "Festività soppresse" equiparabile per natura e funzione al congedo annuale per ferie) non sia dovuto in un contesto in cui il lavoratore non abbia potuto farlo valere, prima della cessazione, per fatto illegittimo (licenziamento accertato in via definitiva dal giudice nazionale con pronuncia comportante il ripristino retroattivo del rapporto lavorativo) addebitabile al datore di lavoro, limitatamente al periodo intercorrente tra la condotta datoriale e la successiva reintegrazione".

La Corte di Giustizia UE (Prima Sezione), con sentenza del 25.6.2020 (cause riunite C-762/18 e C-37/19), dichiara che la direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003 è ostativa a una giurisprudenza nazionale che:

La lavoratrice presenta ricorso in riassunzione depositando memoria.

Periodi di ferie maturati e non goduti per colpa del datore di lavoro

Con il terzo motivo proposto, la lavoratrice ricorrente impugna la decisione della Corte di merito per averle di fatto negato il diritto a fruire dei periodi di ferie maturati e non godute per colpa del datore di lavoro che non aveva ottemperato all'ordine di reintegra con conseguente impossibilità di prestare l'attività lavorativa da cui conseguiva il diritto a godere delle ferie.

La Corte di appello territoriale ha fondato la sua decisione su precedenti giurisprudenziali della Corte Suprema di Cassazione (Cass. 8.7.2008 n. 18707; Cass. 23.10.2000 n. 13953; Cass. 5.5.2000 n. 5624) che subordinavano il riconoscimento del diritto a fruire dei periodi di ferie allo svolgimento dell'attività lavorativa, non ritenendo rilevante che la stessa fosse stata impedita dal rifiuto della prestazione addebitabile al datore di lavoro.

La Suprema Corte ritiene il motivo addotto dalla ricorrente fondato in ossequio ai seguenti principi espressi dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con la sentenza del 25.6.2020:

- il diritto alle ferie annuali retribuite non solo riveste la qualità di principio del diritto sociale dell'Unione, come emerge dalla direttiva 2003/88, la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati nella direttiva stessa, ma è anche espressamente sancito all'articolo 31, paragrafo 2 della Carta, cui l'art. 6 paragrafo 1 TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei Trattati;

- il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere interpretato in senso restrittivo;

- il diritto ad una indennità finanziaria non è sottoposto, dalla direttiva 2003/88, ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato.

Diritto alle ferie retribuite e obbligo di avere effettivamente lavorato

Alla luce delle predette argomentazioni, la Corte di Cassazione conclude che, "pur avendo il diritto alle ferie una duplice finalità, ossia di consentire al lavoratore, da un lato, di riposarsi rispetto alla esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e, dall'altro, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione (sentenza del 20.7.2016, Maschek, C-341/15, EU: 2016:576, punto 34 e giurisprudenza ivi citata), la Corte di Giustizia con la su indicata pronuncia del 25.6.2020 (punto 59) ha sottolineato che in talune situazioni specifiche, nelle quali il lavoratore non è in grado di adempiere alle proprie funzioni, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinato da uno Stato membro all'obbligo di avere effettivamente lavorato".

La Corte di Giustizia - aggiungono gli Ermellini - "ha equiparato (punto 67 della pronuncia del 25.6.2020) la situazione di cui al presente processo a quella della sopravvenienza di una inabilità al lavoro per causa di malattia (trattandosi di contesti imprevedibili e indipendenti dalla volontà del lavoratore), di talché il periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la data della reintegrazione del lavoratore nel suo impiego deve essere assimilato ad un periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione dei diritti alle ferie annuali".

La Suprema Corte pertanto cassa la sentenza in relazione al suddetto motivo e rinvia alla Corte di appello per gli accertamenti in fatto.

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