Sì al licenziamento per motivi disciplinari intimato da una banca ad un proprio dipendente, preposto di agenzia, per avere autorizzato la messa all’incasso di assegni tratti su un conto corrente intestato ad un soggetto che non corrispondeva al nominativo dell’autore della firma di traenza.
I giudici di merito, nella specie, avevano considerato il comportamento del dipendente come antigiuridico, in quanto condotta qualificata come illecito amministrativo e sanzionata a titolo di emissione di assegno senza autorizzazione dall’art. 1 della Legge n. 386/1990.
La predetta violazione, peraltro, era contraria alla fede pubblica, e tale, per la sua gravità e per le mansioni svolte dal prestatore, da compromettere il vincolo fiduciario e da costituire giusta causa di recesso.
Il dipendente si era rivolto alla Suprema corte, sostenendo, tra i motivi, la nullità della decisione di merito per difetto motivazionale.
La difesa del ricorrente, in particolare, lamentava la mancanza di lesività della condotta contestatagli, atteso che il titolare del conto, contattato telefonicamente, aveva autorizzato a posteriori la negoziazione dei titoli e apposto successivamente la propria sottoscrizione aggiuntiva.
Doglianze, queste, giudicate inammissibili dagli Ermellini, per come pronunciatisi, nella vicenda in esame, con sentenza n. 23137 del 31 luglio 2023.
La Sezione lavoro della Corte, in particolare, ha richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale si ha vizio di omessa o apparente motivazione allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica.
Il sindacato di legittimità sulla motivazione, dunque, resta circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto.
Nel caso esaminato, la Corte d'appello aveva motivato espressamente e correttamente in ordine alla violazione della normativa, da ravvisarsi nell’avere consentito al correntista di aggiungere la sua successiva firma di traenza ad assegni tratti sul suo conto corrente a firma di terzi e di consentire la negoziazione di ulteriori assegni, nonostante l’avvenuta chiusura del conto.
La stessa Corte, inoltre, aveva fornito congrua e ragionevole motivazione anche in ordine alla proporzionalità della sanzione comminata.
Il ricorso del bancario, in conclusione, doveva essere definitivamente rigettato.
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