Va escluso che il giudizio sulla proporzionalità e gravità del licenziamento possa essere implicito.
Questo anche nel caso in cui il fatto addebitato non sia ascrivibile a mera negligenza del lavoratore in quanto la relativa condotta sia connotata da una chiara consapevolezza dell'arbitrarietà della stessa.
Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione con sentenza n. 18372 del 27 giugno 2023, nell'accogliere le doglianze della dipendente a tempo determinato di un comune, oppostasi al licenziamento disciplinare intimatole a seguito del rilevamento di alcune assenze ingiustificate.
Nel corso dell'anno, in particolare, era stato ravvisato un totale di 13 giorni di scopertura.
I giudici di merito, nel confermare il recesso, avevano ritenuto che la mera richiesta di ferie non autorizzasse la dipendente ad assentarsi dal lavoro senza prima attendere la risposta dell'Amministrazione, datrice di lavoro.
Così, mentre il Comune aveva "fornito la piena prova dei fatti contestati - vale a dire l'assenza della ricorrente dal servizio per 13 giorni - la lavoratrice non aveva provato la sussistenza di idonee giustificazioni delle proprie assenze.
Ne conseguiva - secondo i giudici di gravame - la legittimità del recesso.
La dipendente si era rivolta alla Suprema corte, lamentando un omesso esame della gravità dei fatti lei addebitati ai fini del licenziamento, in relazione al principio della proporzionalità, congruità, gravità.
La stessa, con l'atto di appello, aveva censurato la valutazione di proporzionalità della sanzione irrogata effettuata dal Tribunale, richiamando anche il rispetto di gradualità e proporzionalità della sanzione di cui al contratto collettivo applicabile, ma sul punto la Corte territoriale non aveva svolto alcuna considerazione.
Secondo la difesa della ricorrente, i giudici di merito avevano violato, ciò posto, l'obbligo di valutare la gravità dei fatti addebitati ai fini del licenziamento anche in relazione al principio del divieto di automatismi sanzionatori, incorrendo, altresì, nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Rilievi, questi, giudicati fondati dagli Ermellini: la Corte di gravame non aveva speso una parola sulla proporzionalità della sanzione.
Ebbene, per la Cassazione, anche a fronte di una fattispecie legale quale quella di cui all'art. 55 quater del D. Lgs. n. 165/2001 (sul licenziamento disciplinare del pubblico dipendente), il recesso non è una conseguenza automatica e necessaria, conservando l'amministrazione il potere-dovere di valutare l'effettiva portata dell'illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.
Richiamando quanto sancito dalla giurisprudenza, il Collegio di Piazza Cavour ha sottolineato come la suddetta norma cristallizzi, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione, prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore.
La stessa norma, tuttavia, consente anche la verifica, caso per caso, della sussistenza dell'elemento intenzionale o colposo, ossia di valutare se ricorrano elementi che assurgono a scriminante della condotta.
Così, ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare, una volta che la condotta risulti provata, permane la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso.
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