E' stato definitivamente confermato, in sede di legittimità, il licenziamento disciplinare per giusta causa che una Fondazione aveva comminato al proprio capo del personale a seguito della contestazione di due episodi disciplinarmente rilevanti.
In una prima occasione, gli era stato contestato di aver dato una "pacca sul sedere" ad una collega mentre, nel secondo episodio, di aver rivolto commenti e apprezzamenti volgari nei confronti di altra dipendente.
La Corte d'appello aveva ritenuto legittimo il provvedimento espulsivo comminato dalla datrice di lavoro: le finalità che avevano mosso l'interessato erano tutt’altro che goliardiche e cameratesche e il suo gesto non poteva essere ricondotto ad una “confidenza fra colleghi”, considerata anche la condizione di profonda mortificazione che poteva aver generato nelle due lavoratrici.
Per la Corte territoriale, l’obiettiva offensività della condotta non era in alcun modo da collegare a ciò che il superiore potesse aver detto successivamente all’accaduto, ma andava valutata per la volgarità dei gesti compiuti dallo stesso - anche in relazione al ruolo da questi rivestito - nella prospettiva del datore di lavoro che viene a conoscenza di simili “attenzioni” verbali e fisiche verso le proprie dipendenti, nonché per la contrarietà alle basilari norme della civile convivenza e dell’educazione
I giudici di secondo grado, peraltro, avevano indagato anche l’elemento soggettivo delle condotte addebitate, concludendo per la relativa volontarietà.
Del resto - aveva evidenziato la Corte di merito - i protagonisti degli eventi all’origine del licenziamento non erano camerati volontariamente inclini ad intrattenere uno scherzo “pesante”: da una parte, vi era un capo del personale, anche responsabile della prevenzione e corruzione e della trasparenza, dall'altra, due sottordinate che a costui si rivolgevano dando del lei e con il rispetto dovuto ad un soggetto in posizione di superiorità gerarchica.
L'offensività delle condotte contestate era eclatante: una mano sul fondoschiena o l’invito a mostrare il “sedere giovanile” non potevano certo considerarsi “rispettosi” della dignità e della professionalità delle due lavoratrici.
Ne discendeva la rilevanza ai fini disciplinari dei gesti posti in essere che dovevano essere “valutati esclusivamente per il loro obiettivo disvalore sociale”.
Si era trattato di fatti contrari al Codice etico, considerando, a maggior ragione, il ruolo di capo del personale ricoperto (cui compete un obbligo espresso di adoperarsi per il mantenimento di un clima interno rispettoso della dignità e della personalità individuale dei dipendenti/collaboratori), e quello di responsabile della prevenzione e corruzione e responsabile della trasparenza (di garanzia specifica in relazione alla concreta ed effettiva applicazione delle norme e dei principi del Codice etico medesimo).
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 27363 del 26 settembre 2023, ha ritenuto corrette, confermandole, le conclusioni cui erano giunti i giudici di gravame, giudicando infondati, per contro, tutti i rilievi sollevati dal lavoratore licenziato.
La condotta contestata, anche se non era stata connotata alla stregua di una molestia, generica o sessuale, era da considerare di sicuro rilievo disciplinare, tale da poter legittimare il licenziamento per giusta causa.
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