La sentenza di assoluzione penale per non aver commesso il fatto è qualificabile come prova atipica dell'insussistenza dell'addebito disciplinare rientrante nel perimetro della parallela imputazione penale, la cui rivalutazione in fatto è preclusa in sede di legittimità.
E' quanto evidenziato dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 26042 del 7 settembre 2023, con cui ha fornito un'interessante disamina in tema di efficacia, nel giudizio civile, della decisione assolutoria penale per i medesimi fatti posti a base del licenziamento disciplinare del lavoratore.
In materia - ha evidenziato la Corte richiamando l'orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità - opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale.
Essendo diversi, infatti, i presupposti delle rispettive responsabilità, contestazione disciplinare e sentenza penale meritano una valutazione autonoma.
Il giudicato di assoluzione, in altri termini, non comporta automaticamente l'archiviazione del procedimento disciplinare: non si può escludere che uno stesso fatto, anche se non idoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare.
Nondimeno, il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare irrogato a seguito di un comportamento per il quale è stato sottoposto a procedimento penale, non può considerare ininfluente la sentenza penale di assoluzione che sia divenuta cosa giudicata.
In particolare, nell'interpretazione in generale della disciplina dei rapporti tra giudizio penale e civile, si sono consolidati, nella giurisprudenza, i seguenti principi:
Nella vicenda specificamente esaminata - riguardante un dipendente licenziato per furto di carburante in concorso con altro dipendenti e che era stato assolto in sede penale - i giudici di merito avevano effettuato uno specifico accertamento circa l'insussistenza della partecipazione dell'imputato al fatto di reato concorsuale lui ascritto.
Logicamente, pertanto, l'assoluzione per non aver commesso il fatto, pronunciata in seguito a giudizio di pieno accertamento dei fatti e delle rispettive responsabilità, anche, peraltro, con la partecipazione del datore di lavoro, quale parte civile, fondava l'accertamento del giudice del lavoro in ordine all'insussistenza dell'addebito disciplinare alla base del licenziamento ed il conseguente annullamento dello stesso.
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