L’equiparazione dei giudicati penali non viola la costituzione

Pubblicato il 19 dicembre 2009

Non viola l’art. 24 della Carta costituzionale, relativo al diritto di difesa, la previsione contenuta negli articoli 445, comma 1-bis, e 653, comma 1-bis, del codice di procedura penale, dove si equipara la sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna disponendo così che abbia efficacia di giudicato anche nel procedimento disciplinare in ordine all’accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed alla affermazione che l’imputato lo ha commesso.

La sentenza n. 336 del 18 dicembre 2009 della Corte costituzionale rigetta le doglianze avanzate dal Consiglio nazionale forense verso la legge 27 marzo 2001, n. 97, relativa al rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche: il consesso dei legali ritiene che sia illegittimo attribuire alla sentenza di patteggiamento la medesima efficacia del giudicato in senso stretto con riguardo al procedimento disciplinare, effettuando quindi una ingiusta parificazione in quanto solo il procedimento ordinario svolge un pieno accertamento positivo. Ancora il Cnf ritiene irrazionale assegnare alla sentenza di patteggiamento efficacia nel giudizio disciplinare, escludendola, invece, per i giudici civili ed amministrativi.

Per la Corte nessuna norma citata risulta irrazionale perché con le modifiche introdotte dal legislatore nel 2003 è stata dichiarata l’identificazione fra loro di tutti i giudicati penali derivanti da qualsiasi tipo di sentenza: sia essa pronunciata a seguito di patteggiamento, o a seguito di giudizio abbreviato, sia essa pronunciata all’esito del dibattimento; dall’altro ha accomunato agli stessi fini i vari giudicati, siano di condanna o di assoluzione. Quindi sia che l’imputato abbia scelto il rito ordinario o abbia optato per quello abbreviato, le conseguenze che si avranno saranno sempre le stesse. Per quanto riguarda l’esclusione dell’efficacia per i giudizi civili ed amministrativi, la corte la ritiene giusta non potendo parti diverse accedere al rito alternativo.

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