Va a vuoto la riproposizione di eccezione di illegittimità costituzionale della disciplina degli studi di settore presentata da una società. Tali strumenti, osserva la Corte di cassazione, sono legittimi dal punto di vista costituzionale.
Nella sentenza n. 16544 del 20 giugno 2019, i magistrati della Suprema Corte sono stati chiamati a pronunciarsi sugli studi di settore da parte di una società che aveva ricevuto un avviso di accertamento dalle Entrate basato su tali strumenti, lamentando la loro illegittimità costituzionale.
Nel fornire il giudizio, i magistrati hanno ricordato come l’utilizzo degli studi di settore sia stato ritenuto costituzionalmente legittimo, purchè sia instaurato il contraddittorio con il contribuente, dall’ordinanza della stessa Consulta n. 187/2017.
In quella sede è stata affermata la validità degli studi di settore essendo questi non uno strumento di determinazione bensì di accertamento del reddito.
Sulla stessa linea si è posta la Corte Ue, con sentenza del 21/11/2018, causa C-648/16, per la quale non sono in contrasto con la normativa convenzionale le norme italiane in base alle quali l’Amministrazione finanziaria, stante la presenza di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, può ricorrere ad un metodo induttivo, appunto tali studi, per accertare il volume d'affari realizzato dal contribuente e procedere a rettifica fiscale a condizione che si permetta al “contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo".
Deve, quindi, sostenersi che l’accertamento induttivo del reddito fondato sugli studi di settore è legittimo dal punto di vista costituzionale; sarà poi da va con l’Amministrazione finanziaria.
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