Lavoratore studente fuori corso? Niente permessi per studio

Pubblicato il 21 settembre 2020

E’ stato confermato, dalla Cassazione, il rigetto della domanda di un lavoratore che chiedeva il riconoscimento del diritto di godere di permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio, anche oltre la durata prevista del relativo corso di studi.

Nel merito, i giudici di primo e secondo grado avevano escluso che la previsione del CCNL di riferimento (CCNL Federcassa), riconoscesse tali permessi anche agli studenti cosiddetti fuori corso”, sull’assunto che la loro concessione era limitata al solo periodo di frequenza nell’ambito degli anni di durata legale del corso di studi.

Nell’articolo del Contratto collettivo preso in esame, infatti, si faceva riferimento solo agli iscritti al corso legale di studi universitari: i riferimenti, ivi contenuti, all’ultimo e penultimo anno non avrebbero avuto concreto significato se non con riguardo ad una fisiologica durata del corso di studi.

Il lavoratore/studente aveva impugnato tali conclusioni davanti alla Corte di legittimità, lamentando una violazione e falsa applicazione di legge.

A suo dire, una corretta lettura del CCNL avrebbe dovuto indurre a ritenere che la disciplina del diritto allo studio fosse applicabile anche agli studenti “fuori corso”, in quanto nel testo della norma si specificava che i permessi erano concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio universitari, oltre che per la preparazione dei relativi esami.

Una doglianza, tuttavia, che è stata giudicata infondata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 19610 del 18 settembre 2020.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, la norma di riferimento costituiva la specificazione del diritto riconosciuto dall’art. 10, secondo comma, della Legge n. 300/1970, ai sensi del quale i lavoratori studenti, universitari compresi, che devono sostenere prove di esami, hanno diritto di fruire di permessi giornalieri retribuiti.

La disposizione contrattuale in oggetto, in tale contesto, risultava certamente migliorativa, attribuendo il diritto ad ottenere permessi anche per la frequenza dei corsi e non solo per sostenere gli esami.

Tuttavia, essa sottoponeva tale diritto anche a diversi limiti, tra i quali il numero massimo di ore e il numero massimo di dipendenti che potevano fruirne.

Nella decisione impugnata, ciò posto, era stata formulata una lettura coerente e logica della norma, basata non solo sulla sua esegesi letterale ma anche sulla sua ratio generale.

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