Lavoratore in aspettativa, licenziato se non è più utile all’azienda

Pubblicato il 11 marzo 2021

Legittimo il licenziamento per chi si assenta per 12 mesi, a causa di un periodo di aspettativa, e non è più utile all’azienda. Infatti è stato respinto il ricorso di un impiegato ai domiciliari che non poteva più essere proficuamente inserito nel contesto professionale. 

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6714 del 10 marzo 2021.

Lavoratore in aspettativa, la vicenda

La vicenda riguarda un lavoratore che, dopo un periodo di assenza per aspettativa per lo svolgimento di carica pubblica, era stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione, a seguito di arresti domiciliari. Quindi, il datore di lavoro gli notificava la risoluzione del rapporto di lavoro mediante lettera di licenziamento.

Il lavoratore, a seguito di sentenza sfavorevole della Corte d’Appello, impugnava la decisione e ricorreva in Cassazione.

Lavoratore in aspettativa, la sentenza

La Suprema Corte conferma la sentenza di secondo grado e giudica il licenziamento legittimo. Secondo gli ermellini una assenza prolungata per più di 12 mesi – che aveva determinato il venire meno dell’interesse datoriale alla sua eventuale e futura prestazione residua – è motivo idoneo di licenziamento.

Inoltre, la persistenza o meno di un interesse rilevante a ricevere le ulteriori prestazioni, in ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva, deve essere parametrata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell’art. 3 della L. n. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell’impresa, da svolgere, però, con una valutazione ex ante, e non già ex post, in cui si tenga conto dei seguenti criteri:

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