La salute è prioritaria rispetto alle esigenze economiche
Pubblicato il 17 settembre 2010
Con sentenza n. 4894 dello scorso 27 luglio, il Consiglio di stato ha accolto il ricorso presentato dall'Agcom avverso la decisione con cui il Tar del Lazio aveva annullato un proprio provvedimento sanzionatorio irrogato nei confronti di una società per pubblicità ingannevole posta in atto attraverso la diffusione di un messaggio pubblicitario relativo ad un integratore alimentare senza l'indicazione che lo stesso sarebbe potuto risultare controindicato in presenza di determinate patologie. Per l'azienda sanzionata a cui il Tar Lazio aveva dato ragione, l’Autorità aveva formulato il proprio giudizio di decettività in questione esclusivamente sulla base del parere dell’INRAN e non tenendo conto del fatto che lo stesso ministero della Salute, in sede di approvazione dell’etichetta, non aveva rilevato nulla circa la pericolosità del prodotto.
Il Collegio amministrativo, tuttavia, ha ricordato come, ai sensi dell'articolo 5 del Decreto legislativo n. 74 del 1992, deve essere considerata ingannevole “la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza”. Tale norma – continuano i giudici amministrativi – oltre a corrispondere a precise direttive comunitarie, richiama anche al principio di tutela della salute, per come costituzionalmente garantito; “Nessun dubbio” - sottolinea la Corte - può porsi “circa la priorità degli interessi in questione, rispetto alle esigenze economiche della commercializzazione dei prodotti”. Non solo. Per la Corte, il dovere di chiarezza nei confronti del consumatore, a livello di messaggio pubblicitario, non coincide con gli obblighi di avvertenza imposti ai produttori e ai venditori in quanto la facoltà di non riportare controindicazioni sulle etichette degli integratori riguarderebbe solo un profilo di attenzione sanitaria, mentre il carattere innocuo di quest’ultimo non tutelerebbe il consumatore in rapporto a messaggi pubblicitari tendenti ad indurre l’uso più ampio ed allargato possibile del prodotto stesso.