La crisi di liquidità dell'azienda non giustifica il rappresentate legale che omette di versare le ritenute certificate.
E' quanto dedotto dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 38539 depositata il 23 settembre 2015, nel respingere il ricorso del rappresentante di una s.p.a., condannato in primo e secondo grado, per aver omesso di versare, quale sostituto d'imposta, alcune ritenute certificate relative agli emolumenti corrisposti ai propri dipendenti.
Avverso al pronuncia di condanna, l'imputato deduceva la mancanza dell'elemento soggettivo del reato, per aver egli agito in presenza di forza maggiore, ovvero, in crisi di liquidità aziendale.
Nel respingere la censura, la Cassazione ha tuttavia chiarito che la denunciata "sofferenza" non costituisce di per sé causa di giustificazione per il reato contestato.
D'altra parte nel caso de quo – evidenzia la Corte – la società versava, si, in una situazione di difficoltà ma non di illiquidità completa, a fronte della quale, tra l'altro, l'amministratore aveva fatto scelte piuttosto soggettive, privilegiando il pagamento di alcuni debiti piuttosto che di altri.
Deve dunque riscontrasi una sorta di "responsabilità" in capo al rappresentante per mancata tempestiva attivazione, ovvero, per non aver provveduto – seppure consapevole della crisi – a convocare senza indugio l'assemblea (ai sensi dell'art. 2447 c.c.) per operare una sollecita ricapitalizzazione della società.
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