La Corte di Giustizia UE, con sentenza del 10 settembre 2015, causa C‑266/14, ha affermato che l’articolo 2, punto 1, della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che, nei casi in cui i lavoratori non abbiano un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro.
Infatti, gli spostamenti sono intrinseci alla qualità di lavoratore che non ha un luogo di lavoro fisso od abituale, ed il luogo di lavoro di siffatti lavoratori non può essere ridotto ai luoghi di intervento fisico presso i clienti del loro datore di lavoro.
Per la Corte, escludere i tragitti domicilio-clienti dalla nozione di «orario di lavoro» sarebbe, inoltre, contrario all’obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, perseguito dalla Direttiva 2003/88, nel quale rientra la necessità di garantire ai prestatori di lavoro un periodo minimo di riposo.
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