Cos’è e come si realizza la cosiddetta “certificazione di processo” e che efficacia hanno le relative copie?
Lo studio del Notariato n. 4_2018 DI, approvato dal CNN il 17 gennaio 2019 e pubblicato sul relativo sito istituzionale il 27 febbraio 2019, ha inteso fornire una prima risposta a questo quesito, all’esito di un’indagine sulla novità introdotta attraverso la modifica dell’articolo 22 del Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto legislativo n. 82/2005).
Ci si riferisce alla recente introduzione del comma 1-bis all’articolo 22 del CAD, ad opera dell'articolo 22, comma 1, lett. b), del Decreto legislativo n. 217/2017, ai sensi del quale “La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell'originale e della copia”.
Un intervento, questo, messo a punto con il fine di favorire la dematerializzazione di grosse quantità di documenti analogici, e che - si legge nell’elaborato – “impone all’interprete di stabilire, in assenza di indicazione normativa espressa, quali siano i contenuti e le modalità di realizzazione di questa peculiare ipotesi di certificazione, nonché l’efficacia probatoria delle relative copie”.
Secondo lo studio, intitolato “La “certificazione di processo” nell’ambito delle copie informatiche di documenti analogici”, la citata certificazione consiste nella certificazione di un processo idoneo a realizzare un determinato risultato, ossia la conformità della copia all’originale senza ricorrere al tradizionale metodo di raffronto dell’originale con la copia.
Da qui la fondamentale conseguenza che “l’attendibilità del risultato è inscindibilmente connessa all’attendibilità del relativo processo”.
E detto ultimo processo è necessariamente connotato:
- sul piano soggettivo, per la presenza del notaio o di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato;
- sul piano oggettivo, per il ricorso a tecnologie che diano maggiore affidamento in ordine al risultato che si intende ottenere (ossia la conformità della copia all’originale) e ad una serie di attività ulteriori, che fanno capo al pubblico ufficiale autorizzato a certificare il processo.
Per quanto riguarda l’efficacia probatoria riconducibile a detta ipotesi di certificazione, la soluzione che i notai ritengono maggiormente conforme e funzionale al sistema appare quella che opera sul piano dell’onore della prova e che ritiene il risultato della “certificazione di processo” come assistito da una presunzione di conformità della copia all’originale, salva la possibilità di fornire la prova contraria.
Tuttavia, in assenza di una previsione normativa espressa che preveda tale presunzione legale relativa, “occorrerebbe, de iure condendo, un nuovo intervento del legislatore in tal senso o quanto meno, de iure condito, un intervento giurisprudenziale tendente ad affermare il medesimo principio sub specie di “presunzione giurisprudenziale”.
Per quanto concerne, invece, il piano della prova si impone di diversificarne l’efficacia “a seconda che vengano in rilievo o meno fatti direttamente constatati dal pubblico ufficiale autorizzato”.
Così, se vengono in rilievo fatti constatati personalmente dal pubblico ufficiale, questi saranno coperti da una efficacia probatoria privilegiata e faranno piena prova fino a querela di falso.
Diversamente, “si fuoriesce dai confini della prova legale per rientrare, a pieno titolo, in quelli della prova libera”.
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