Know-how aziendale trafugato? Dipendente risponde di furto aggravato

Pubblicato il 26 novembre 2020

Il dipendente che trafuga il know-how aziendale e la banca dati dei clienti del datore di lavoro risponde del reato di furto aggravato dall’abuso di prestazione d’opera e non di appropriazione indebita.

La Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui la Corte d’appello aveva condannato due dipendenti per il reato di furto aggravato dall’abuso di prestazione d’opera.

Il furto aveva avuto ad oggetto dei compact-disc contenenti il know how aziendale, sotto forma di programma informatico, e la banca dati dei clienti ed utilizzatori della Srl datrice di lavoro.

Uno degli imputati, lasciato il lavoro dipendente, aveva poi costituito altra società, avente identico scopo sociale della datrice, utilizzando le informazioni trafugate.

I due si erano rivolti alla Suprema corte lamentando, tra gli altri motivi, un’erronea qualificazione della condotta loro contestata, individuata nella fattispecie di furto piuttosto che del meno grave reato di appropriazione indebita.

La Quinta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 33105 del 25 novembre 2020, ha invece concluso per la correttezza di tale qualificazione giuridica, affermando anche apposito principio di diritto per chiarire il punto controverso.

Reato di furto o di appropriazione indebita: configurabilità

Ai fini della configurabilità del reato di furto piuttosto che di quello di appropriazione indebita, è decisiva l’indagine circa il potere di disponibilità sul bene da parte dell’agente: se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine all’utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita.

Diversamente, è configurabile il reato di furto. Quando, infatti, sussiste un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa stessa, si ricade nell’ipotesi di furto e non di appropriazione indebita.

E quest’ultima ipotesi si era verifica nella vicenda esaminata: dall’istruttoria era risultato che i ricorrenti avevano una posizione individuale ben lontana da quella disponibilità autonoma del bene evocata dalla nozione di possesso contenuta nella disposizione di cui all’art. 649 c.p. al fine di rendere configurabile la fattispecie di appropriazione indebita al posto di quella di furto.

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