E' illegittima la previsione attuativa del Jobs act che, nel riconoscere la tutela reintegratoria nei casi di nullità del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (a partire, quindi, dal 7 marzo 2015), la limita alle nullità sancite “espressamente”.
Il regime del licenziamento nullo, in altri termini, deve essere lo stesso:
Con sentenza n. 22 del 22 febbraio 2024, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione per quel che concerne l’art. 2, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti).
I dubbi di costituzionalità riguardano la parte in cui la predetta disposizione, nell’individuare il regime sanzionatorio per i licenziamenti nulli, limita la reintegra ai casi di nullità "espressamente previsti dalla legge".
Tale norma è stata censurata per asserita violazione dell'art. 76 della Costituzione, attesa la sua difformità rispetto al criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della Legge n. 183/2014 (Jobs act).
La legge di delega, infatti, demandando al Governo la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dispone la limitazione del diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, senza una ulteriore limitazione ai casi di nullità espressamente prevista.
Ebbene, secondo la Consulta, va escluso che la distinzione tra nullità espresse e non, sia riconducibile al criterio di delega nella sua portata testuale.
Nella lettera dell’indicato criterio direttivo, infatti, manca del tutto una differenziazione tra tali nullità ed il prescritto mantenimento del diritto alla reintegrazione è contemplato per i licenziamenti nulli, senza ulteriori specificazioni: del resto, un'eventuale distinzione tra le fattispecie, inedita rispetto alla disciplina previgente dei licenziamenti individuali, avrebbe richiesto una previsione espressa.
Anche dal punto di vista dell’interpretazione sistematica, inoltre, la limitazione alla nullità testuale ed espressa appare eccentrica rispetto all’impianto della delega, volta ad introdurre per le nuove assunzioni una disciplina generale dei licenziamenti di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, a copertura integrale per tutte le ipotesi di invalidità.
A ben vedere, il legislatore delegato, con l'operata limitazione dell’ambito applicativo della reintegra ai licenziamenti per i quali la nullità è espressamente prevista, ha dettato una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante.
Difatti, sono rimaste prive di regime sanzionatorio le fattispecie di licenziamenti nulli senza espressa e testuale previsione della nullità.
Questi ultimi licenziamenti, da un lato, non avendo natura “economica”, non possono rientrare tra quelli per i quali la reintegra può essere esclusa; dall'altro, in ragione della disposizione censurata, non appartengono a quelli per i quali questa tutela va mantenuta, senza che ad essi possa alternativamente applicarsi la tutela indennitaria riguardante le diverse fattispecie dei licenziamenti privi di giustificato motivo, soggettivo e oggettivo, o quella operante per i soli vizi formali e procedurali riconducibili al requisito di motivazione.
Sintetizzando, l’eccesso di delega per violazione del richiamato criterio direttivo trova riscontro:
Da qui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola "espressamente".
Nelle sue conclusioni, infine, la Consulta ha inteso evidenziare due aspetti:
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