Installazione impianti audiovisivi, non vale il silenzio-assenso

Pubblicato il 09 maggio 2019

È escluso l’istituto del silenzio-assenso in caso di richiesta di autorizzazione all’installazione ed utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti che consentono il controllo a distanza dell’attività lavorativa, ai sensi dell’art. 4, co. 1, della L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori). Quindi, se l’Ispettorato del Lavoro non risponde alla richiesta, l’azienda non può avvalersi delle disposizioni contenute nella L. n. 241/1990, le quali affermano che il silenzio dell’amministrazione competente equivalga ad accoglimento della domanda.

A confermarlo è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’interpello n. 3 dell’8 del maggio 2019, in risposta a un parere avanzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.

Impianti audiovisivi e controlli a distanza, evoluzione normativa

Il D.Lgs. 151/2015, facente parte dei otto decreti delega del Jobs Act (L. n. 183/2014), ha innovato l’impianto normativo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970) introducendo una diversa configurazione dell’obbligo di installazione degli impianti di videosorveglianza.

Successivamente è intervenuto il D.Lgs. n. 185/2016 (c.d. Decreto Correttivo al Jobs Act) - operativo a partire dall’8 ottobre 2016, il quale ha cambiato nuovamente l’assetto normativo del citato articolo 4. Dunque, dall’ultimo intervento normativo in senso cronologico gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere impiegati ma esclusivamente per particolari esigenze.

In questo modo, si ammette la possibilità di installare strumenti che possano anche comportare un controllo a distanza dei lavoratori per:

È quindi necessario che si verifichi (alternativamente) una delle tre casistiche affinché si possa legittimamente, previa richiesta, installare tali apparecchiature.

Unica eccezione all’obbligo di accordo/autorizzazione è disciplinato dall’art. 23 del D.Lgs. 151/2015. Infatti, se gli strumenti sono utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, oppure, se gli strumenti in questione sono afferenti alla registrazione degli accessi e delle presenze, non vige l’obbligo di comunicazione e tali strumenti possono essere installati senza alcun ulteriore adempimento.

Art. 4 dello Stato dei Lavoratori, accordo e autorizzazione amministrativa

Laddove l’impianto di videosorveglianza o controllo a distanza sia necessario per una delle predette esigenze su elencate, la norma prevede che gli strumenti possano essere installati previo accordo collettivo stipulato:

In alternativa, nel caso si faccia invece riferimento a imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione, ovvero in più regioni.

Tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Impianti audiovisivi e controlli a distanza, mancanza di accordo con le RSU e RSA

Laddove non si giunga a un accordo con le rappresentanze sindacali, si procede con la richiesta di autorizzazione alla sede territorialmente competente dell’INL. È possibile ricorrere direttamente all’autorizzazione amministrativa anche nel caso in cui non è presente alcuna rappresentanza sindacale in azienda.

Serve l’ok dall’INL per l’installazione di impianti audiovisivi e controlli a distanza

In risposta al quesito posto dal CNO dei Consulenti del Lavoro, che chiedono se il silenzio dell’organo amministrativo adito, in relazione all’istanza di autorizzazione, possa essere considerato un assenso tacito all’istanza medesima, il Ministero del Lavoro risponde in maniera negativa.

La formulazione dell’art. 4, co. 1, della L. n. 300/1970 non consente la possibilità di installazione ed utilizzo degli impianti di controllo in assenza di un atto espresso di autorizzazione, sia esso di carattere negoziale (l’accordo sindacale) o amministrativo (il provvedimento).

Tale interpretazione appare condivisa anche dalla giurisprudenza, la quale ha da ultimo affermato che “la diseguaglianza di fatto e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, dà conto della ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo alternativamente essere sostituita dall’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro“ (cfr. Cass. pen. n. 22148/2017), in continuità con un orientamento interpretativo consolidato in materia (cfr. Cass. pen. n. 51897/2016; Cass. civ. n. 1490/1986).

 

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