Sull’applicabilità delle informazioni antimafia alle attività soggette a Scia si è espresso il Consiglio di Stato con sentenza n. 6057 del 2 settembre 2019.
Il consesso amministrativo ha affermato che le attività soggette a Scia (Segnalazioni certificate di inizio attività) non sono esenti dai controlli antimafia, come si desume dall’art. 89, comma 2, Dlgs. n. 159/2011 (dove è espressamenrte previsto che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione»”).
Inoltre, il Comune è tenuto verificare che l’autocertificazione dell’interessato corrisponda a verità e può richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o revocare la Scia in presenza di una informazione antimafia comunicatagli o acquisita dal Prefetto.
Infatti, sempre il Dlgs 159/2011 prevede che il Prefetto emetta una informazione antimafia, in luogo della comunicazione antimafia liberatoria richiesta dal Comune, se viene accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa; ciò anche quando tale richiesta sia effettuata in ipotesi di Scia e/o durante i controlli che concernono le attività ad esse soggette.
Deve aggiungersi che la stessa Corte costituzionale ha specificato che l’attività soggetta a Scia, anche se diretta al principio della liberalizzazione, non è esente da controlli e verifiche, previste dall’art. 19 della L. n. 241 del 1990. Ciò deve valere, a maggior ragione, quando si tratta di applicazione della normativa antimafia nel nome di esigenze di ordine pubblico e tutela preventiva.
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