Indebita compensazione, scatta il reato anche per debiti di natura previdenziale

Pubblicato il 01 settembre 2021

E’ accusabile di indebita compensazione l’imprenditore che ha omesso di versare somme dovute al Fisco, utilizzando in compensazione crediti inesistenti, e che ha occultato le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 32389 del 31 agosto 2021, respingendo il ricorso di un manager accusato di aver indebitamente compensato dei crediti Iva e Irap, non dimostrabili in contabilità.

Avverso la sentenza di condanna d’appello l’imprenditore aveva presentato ricorso in Cassazione e chiesto l’annullamento della pena, adducendo come motivo il fatto che la corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare l’indebita compensazione dal Mod. F24 e che la stessa si era limitata a ribadire la responsabilità penale dell’imputato rilevando semplicemente il mancato reperimento nella sede legale della documentazione contabile, senza provare che la documentazione, di cui si assume l’occultamento o la distruzione, sia stata istituita.

Indebita compensazione, irrilevante la natura dei debiti compensati

La Suprema Corte, nella pronuncia n. 32389/2021, ritiene inammissibile il ricorso, ribadendo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui il reato di indebita compensazione (ex art. 10-quater DLgs. 74/2000) riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario.

Inoltre, la Corte, richiamando anche quanto sancito nella sentenza n. 35/2018 della Corte Costituzionale, ritiene che il reato di indebita compensazione possa configurarsi sia in caso di compensazione verticale, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto può avere ad oggetto tutte le somme dovute che possono essere inserite nell'apposito modello F24, incluse quelle relative ai contributi previdenziali e assistenziali.

La ratio della disposizione si ravvisa nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell'omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l'inesistenza del credito.

È evidente, a questo punto, che l’indebito risparmio d’imposta che la norma vuole punire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell'Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta.

Pertanto, secondo la Cassazione è irrilevante la natura dei debiti compensati che possono essere anche di natura previdenziale oltre che di natura tributaria; ciò che conta è che si tratti, comunque, di debiti compensati con crediti inesistenti.

Infine, la Suprema Corte conferma che la responsabilità penale dell’imprenditore è da attribuire non ad un semplice comportamento omissivo, ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obiettivamente più difficoltosa – ancorché non impossibile – la ricostruzione ai fini fiscali della situazione contabile. Per il reato, è necessario che via l’occultamento ovvero la distruzione di tali scritture.

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