Indebita compensazione Iva: responsabile anche il nuovo amministratore

Pubblicato il 24 giugno 2024

Il nuovo amministratore della società rischia di rispondere del reato di indebita compensazione IVA se non effettua controlli e verifiche rigorose sui crediti fiscali utilizzati in compensazione.

E' irrilevante che la decisione di compensare i crediti sia stata presa prima che egli assumesse la carica.

L'elemento soggettivo del reato, infatti, può essere desunto anche dalla consapevolezza e dall'accettazione del rischio di utilizzare crediti non spettanti.

E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione, Terza sezione penale, con sentenza n. 24254 del 19 giugno 2024.

Reato di indebita compensazione IVA, responsabilità amministratori

Il caso esaminato

Nella vicenda in esame, i giudici di merito avevano accertato l'utilizzo, da parte di una società, di un credito IVA inesistente per compensare l'imposta dovuta, con conseguente mancato pagamento delle imposte.

La Corte d'appello aveva confermato, a carico del legale rappresentante della società, la condanna a due anni di reclusione per il reato di cui all'art. 10-quater Decreto legislativo n. 74 del 2000 (indebita compensazione).

L'amministratore era accusato di aver omesso il versamento delle imposte dovute per l'anno 2016, compensando un credito IVA non risultante dalla dichiarazione annuale del 2014.

Secondo i giudici di secondo grado, l'entità del credito (8.700.000,00 euro) era anomala e avrebbe dovuto indurre a una verifica più approfondita.

Nonostante la breve durata della carica, l'amministratore aveva la responsabilità di verificare la legittimità del credito prima di utilizzarlo in compensazione.

Il ricorso dell'amministratore

L'imputato si era rivolto alla Suprema corte, censurando l'inosservanza ed erronea applicazione:

La decisione della Corte di cassazione

La Corte di cassazione ha giudicato infondati entrambi i motivi di doglianza.

Prova del reato

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, la Suprema corte ha confermato che la prova del reato non richiede la presentazione fisica dei modelli F24, essendo sufficiente l'evidenza documentale.

Ai fini della prova del reato di indebita compensazione - si legge nella decisione - "non è necessaria la produzione in giudizio dei modelli F24 effettivamente utilizzati per il pagamento dell'imposta dovuta...". Tale prova può essere fornita in qualunque altro modo.

Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello aveva dato atto dell'esistenza dei modelli F24 utilizzati per portare in compensazione i crediti non spettanti della società.

Detti crediti erano analiticamente riportati nell'elenco redatto dall'Agenzia delle Entrate, prova della quale il ricorrente non aveva nemmeno dedotto il travisamento.

L'amministratore, del resto, non aveva mai contestato la materiale sussistenza del fatto, bensì la mancanza dell'elemento psicologico del reato.

Andava escluso, ciò posto, che l'assenza dei modelli F24 fisici potesse invalidare le prove basate sugli elenchi forniti dall'Agenzia delle Entrate.

Crediti non spettanti: elemento soggettivo del reato

E infondato è stato giudicato anche il secondo motivo di doglianza.

Innanzitutto, la Cassazione ha precisato che il ricorrente non aveva devoluto il tema del dolo specifico del reato, bensì quello relativo alla propria consapevolezza.

Oggetto di cognizione, dunque, non era il dolo specifico di evasione, bensì quello relativo alla consapevolezza della non spettanza del credito utilizzato in compensazione.

Ebbene, l'amministratore, nella specie, aveva accettato consapevolmente il rischio dell'indebita compensazione, non avendo verificato le condizioni oggettive per l'utilizzo del credito.

Gli Ermellini, sul punto, hanno rammentato che, prima di utilizzare in compensazione un credito di imposta: "il cessionario deve verificare le condizioni oggettive e formali che consentono l'utilizzo del credito stesso a fini estintivi del proprio debito e tale incombente fa carico a chi (e nel momento in cui) intende utilizzare il detto credito".

Nel caso in esame, quindi, andava escluso che il ricorrente potesse dolersi del fatto che la cessione era stata deliberata ed effettuata prima dell'assunzione della sua carica.

Ciò, infatti, non lo esonerava dall'onere di accertare la sussistenza delle condizioni formali per l'utilizzo del credito in compensazione al momento stesso dell'utilizzo.

La Corte di Cassazione, in definitiva, ha rigettato il ricorso del legale rappresentante, confermando la sentenza della Corte d'Appello.

I punti chiave della decisione

La Corte ha confermato le decisioni dei gradi precedenti, sottolineando diversi punti chiave:

In sintesi, la sentenza afferma la necessità di un rigoroso controllo e verifica da parte degli amministratori riguardo ai crediti fiscali utilizzati in compensazione.

L'elemento soggettivo del reato, in tale contesto, può essere desunto dalla consapevolezza e dall'accettazione del rischio di utilizzare crediti non spettanti.

Tabella di sintesi della sentenza

Sintesi del caso Un amministratore è stato condannato per indebita compensazione IVA, avendo omesso di versare le imposte dovute compensando un credito IVA non risultante dalla dichiarazione annuale.
Questione dibattuta L'amministratore sostiene che la decisione di compensare i crediti sia stata presa prima che egli assumesse la carica e lamenta l'assenza dei modelli F24 fisici come prova in giudizio.
Soluzione della Corte di cassazione La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che l'amministratore è responsabile di verificare la legittimità dei crediti utilizzati in compensazione, indipendentemente dalla durata della carica e dalla presenza fisica dei modelli F24. La prova documentale è sufficiente e l'accettazione consapevole del rischio conferma il dolo eventuale.
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