E’ tenuto a restituire l’immobile, il soggetto beneficiario di un contratto di vitalizio alimentare, a cui veniva ceduta la nuda proprietà di un appartamento, in cambio di una somma di denaro e di assistenza morale e materiale in favore della proprietaria.
Così la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha confermato la risoluzione di un contratto con cui una anziana signora aveva ceduto la proprietà del suo immobile in cambio di 45 mila euro e di assistenza morale e materiale a vita, tuttavia mai prestata. Un patto vitalizio formalizzato mediante scrittura privata contestuale all'atto notarile di cessione dell’immobile.
L’erede dell'anziana donna, nel frattempo deceduta, aveva in seguito fatto valere l’inadempimento del beneficiario, chiedendo ed ottenendo la risoluzione del suddetto patto (con conseguente obbligo di restituzione dell’immobile).
Del tutto inutile per il beneficiario, invocare che l’accordo concluso con la proprietaria della casa fosse da inquadrarsi come contratto atipico di vitalizio alimentare, non sussistendo alcun collegamento tra la cessione dell’immobile e l’accordo di assistenza vitalizia.
Per la Suprema Corte in realtà il patto vitalizio deve, viceversa, considerarsi parte integrante dell’atto di vendita immobiliare.
Né appare condivisibile, sempre a parere del Collegio, l’ulteriore censura secondo cui la natura bilaterale del contratto in questione, avrebbe escluso l’applicabilità della risoluzione per inadempimento.
Invero secondo la Corte, con sentenza n. 12746 del 21 giugno 2016, il contratto vitalizio alimentare rientra in tutto e per tutto nel raggio di azione dell’art. 1453 c.c. che, in relazione ai contratti a prestazioni corrispettive, in caso di inadempimento, contempla la duplice possibilità di chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto medesimo.
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