La Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, accogliendo il ricorso della Procura generale, ha riconosciuto l’illecito disciplinare di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 109/2006 a carico di un sostituto Procuratore, per aver quest’ultimo, in violazione dei doveri di correttezza indipendenza ed imparzialità, commesso il reato di diffamazione ai danni di un Sindaco, idoneo altresì a ledere l’immagine del magistrato medesimo. E non vale ad escludere l’illecito, il fatto che il destinatario delle espressioni diffamatorie, non le abbia percepite come tali.
Il sostituto Procuratore, in particolare, comunicando con più persone a mezzo del proprio profilo Facebook, aveva offeso la reputazione dell’allora Sindaco di Roma mediante un post offensivo ad esso rivolto. Post che veniva anche pubblicato in un noto quotidiano, così andando a ledere, oltretutto, anche la sua immagine di magistrato, investito della funzione di Pubblico ministero.
Tuttavia la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, pur ritenendo sussistenti i fatti contestati – e cioè sia la consumazione della diffamazione ai danni del Sindaco, che il pregiudizio all'immagine del magistrato - aveva dapprima concluso per la non configurabilità dell’illecito disciplinare, stanti le condizioni per l’applicazione dell’esimente ex art. 3 bis D.Lgs. n. 109/2006, ossia, per essere il fatto di scarsa rilevanza (deponendo in tal senso, principalmente, le dichiarazioni della persona offesa).
Non è della stessa idea la Corte di Cassazione, secondo la quale è erronea la pronuncia impugnata nella parte in cui, pur in presenza di un reato di cui ha accertato la commissione, ha ritenuto di scarso rilievo il fatto disciplinarmente rilevante, avuto riguardo – quale elemento sintomatico di scarsa rilevanza – alla non percezione dell’offesa da parte del destinatario. In tal modo la Sezione disciplinare Csm, da un lato, non ha tenuto conto che in tema di diffamazione ciò che rileva è l’uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive. Dall'altro, ha omesso di considerare - concludono le Sezioni Unite con sentenza n. 18987 del 31 luglio 2017 - che il bene protetto dalla previsione del contestato art. 4 D.Lgs. n. 109/2006 è costituito dalla immagine del magistrato, risultando quindi irrilevante, a tali fini, il fatto che il destinatario di parole oggettivamente diffamatorie, possa non averle percepite in tal senso.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".