Il valore determinato in riferimento all'imposta di registro non prova la plusvalenza

Pubblicato il 03 giugno 2013 La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con sentenza n. 80/03/13, ha accolto il ricorso presentato da una contribuente contro l'avviso d'accertamento emesso ai fini Irpef in tassazione separata, relative sanzioni ed interessi per l'anno d'imposta di riferimento, per asserita omessa dichiarazione di una plusvalenza realizzata tramite la cessione di un terreno edificabile.

L'agenzia delle Entrate, in particolare, aveva ritenuto che il valore determinato in riferimento all'imposta di registro, essendo riferito al valore di mercato dell'immobile, costituisse presunzione grave, precisa e concordante di un maggior corrispettivo percepito dalla parte venditrice rispetto a quello dichiarato nell'atto di compravendita.

Per contro, la ricorrente si doleva dell'illegittimità dell'atto in quanto lo stesso faceva riferimento ad un "prezzo di vendita", mentre in realtà si trattava di un valore accertato ai fini dell'imposta di registro.

Doglianza, quest'ultima, ritenuta fondata dai giudici tributari i quali hanno sottolineato che, ai sensi dell'articolo 68 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, per parlare di plusvalenza si deve essere in presenza di una differenza positiva tra un corrispettivo incassato ed un prezzo speso; il concetto di valore è, dunque, del tutto, estraneo alla nozione di plusvalenza.

In definitiva – si legge nel testo della decisione - “il valore accertato in adesione dalla parte acquirente non ha, di per sé, alcuna valenza probatoria di un incasso in nero di corrispettivo essendo unicamente la risultante di un'autonoma valutazione di convenienza dell'acquirente stesso”.
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