Il tentativo obbligatorio di conciliazione nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Pubblicato il 08 maggio 2014 La Legge Fornero (n. 92, del 28 giugno 2012) ha riformato l’art. 7 della Legge n. 604 del 15 luglio 1966 prevedendo il tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Commissione di conciliazione istituita ex art. 410 c.p.c. presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Il requisito dimensionale

La nuova procedura è obbligatoria per i datori di lavoro che posseggono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, comma 8, Legge n. 300/1970, ovvero:

- che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupano alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditori agricoli;
- che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti e l’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti;
- che occupano più di sessanta dipendenti.

Ai fini del computo del numero dei dipendenti si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore.

Anche i lavoratori intermittenti, vanno calcolati nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre e i soggetti occupati con contratto di lavoro ripartito, vanno computati complessivamente in relazione all'orario svolto e vanno considerati come un'unità allorquando l'orario complessivo coincida con il tempo pieno (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 3 del 16 gennaio 2013).

Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella citata circolare n. 3/2013, il calcolo della base numerica deve essere effettuato avendo quale parametro di riferimento la c.d. “normale occupazione” nel periodo antecedente (gli ultimi 6 mesi), senza tener conto di temporanee contrazioni di personale.

La procedura

Il datore di lavoro che rientri nel campo di applicazione della norma, qualora voglia effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dovrà inviare una comunicazione scritta alla Direzione del lavoro competente per ambito territoriale (in base al luogo di svolgimento dell'attività del dipendente) e trasmetterla per conoscenza al lavoratore interessato. Tale comunicazione deve indicare anche le motivazioni del licenziamento e le eventuali misure di assistenza finalizzate ad una ricollocazione e si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. La DTL che ha ricevuto la comunicazione datoriale deve convocare le parti avanti alla commissione provinciale di conciliazione, trasmettendo l'invito a comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell'istanza. Si ricorda che, per espressa previsione legislativa, le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. La procedura - durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione, sono tenute ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso - si deve concludere entro venti giorni dal momento in cui la Direzione Territoriale del Lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, eccetto il caso in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni. Da ricordare, in questo ambito, l’importanza della presentazione al tentativo di conciliazione delle parti, in quanto la mancata presentazione di una o entrambe al tentativo di conciliazione va valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 116 c.p.c.

La conclusione

Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di convocazione della DTL (sette giorni dalla ricezione dell’istanza), il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. Se la conciliazione ha, invece, esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della Legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del c.p.c.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 3/2013, ha chiarito che a titolo esemplificativo, dalla giurisprudenza, si evince che rientrano nel giustificato motivo oggettivo i licenziamenti intimati a seguito di:

- ristrutturazione di reparti;
- soppressione del posto di lavoro;
- terziarizzazione e esternalizzazione di attività;
- inidoneità fisica (Cass. sent. n. 14065/1999; Cass. sent. n. 9067/2003; Cass. sent. n. 4012/1998);
- impossibilità di repechage all’interno di un gruppo di imprese (Cass. sent. n. 7717/2003; Cass. sent. n. 16579/2010);
- chiusura del cantiere per il lavoratore edile (Cass. sent. 1162/1993; Cass. sent. n. 2364/1989);
- provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto di lavoro, come il ritiro della patente di guida o del porto d’armi ad una guardia giurata (Cass. sent. n. 2267/1999; Cass. sent. n. 7726/2005; Cass. sent. n. 2727/1989; Cass. sent. n. 7726/2005);
- misure detentive (Cass. sent. n. 22536/2008; Cass. sent. n. 2267/2009).

Con il D.L. n. 76/2013, convertito con la Legge n. 99/2013, il Legislatore ha stabilito che la procedura in questione non trova applicazione per:

- il licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'articolo 2110 c.c.;
- i licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- l’interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.

Norme e prassi

Codice Procedura Civile, artt. 91, 92, 116, 410 c.p.c.
Art. 7, Legge n. 604 del 15 luglio 1966
Art. 18, Legge n. 300/1970
Art. 4,comma 1, lettere a), c) ed e), D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003
Legge n. 92 del 28 giugno 2012
D.L. n. 76/2013, convertito con la Legge n. 99/2013
Corte di Cassazione, sentenze n. 2364/1989; n. 2727/1989; n. 1162/1993; n. 4012/1998; n. 2267/1999; n. 14065/1999; n. 7717/2003; n. 9067/2003;n. 7726/2005; n. 22536/2008; n. 2267/2009; n. 16579/2010
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 3 del 16 gennaio 2013
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