Sì al diritto al silenzio anche rispetto ai poteri d’indagine della Banca d’Italia e della Consob quando dalle risposte all’autorità di vigilanza possa emergere la propria responsabilità per un illecito punibile con sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato.
Secondo la Corte costituzionale, è incostituzionale la norma del TUF che punisce con una sanzione da 50mila a un milione di euro chi “non ottempera nei termini alle richieste della Banca d’Italia o della CONSOB”, senza prevedere eccezioni in favore di chi sia già sospettato di avere commesso un illecito.
Lo ha stabilito con sentenza n. 84 del 30 aprile 2021, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 187-quinquiesdecies del Decreto legislativo n. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d’Italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato.
La Consulta ha in proposito statuito come il diritto fondamentale al silenzio valga anche rispetto ai procedimenti amministrativi davanti alla Banca d’Italia e alla Consob se dalle risposte alle domande possa derivare la propria responsabilità.
La questione sottoposta ai giudici costituzionali prendeva le mosse dalla vicenda di un amministratore di società sottoposto a un’ingente sanzione pecuniaria per non avere risposto alle domande della Consob su operazioni finanziarie sospette da lui asseritamente compiute.
L’imprenditore aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver semplicemente esercitato il diritto costituzionale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la propria responsabilità.
Investita del caso, la Corte di cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del menzionato articolo 187-quinquiesdecies.
La Corte costituzionale adita si era quindi rivolta alla Corte di giustizia dell’Unione europea, per chiedere se, ai sensi del diritto comunitario, l’obbligo di sanzionare la mancata collaborazione con le autorità di vigilanza sui mercati finanziari valesse anche nei confronti di chi è già sospettato di aver commesso un illecito e se, in questi casi, un simile obbligo fosse compatibile con il “diritto al silenzio” riconosciuto dalla Costituzione italiana, dal diritto internazionale e dalla stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La Grande sezione della Corte di giustizia si è espressa, da ultimo, con sentenza del 2 febbraio 2021 (causa C‑481/19) chiarendo che il diritto al silenzio è parte integrante del principio dell’equo processo e opera anche nell’ambito dei procedimenti amministrativi che possono sfociare nell’applicazione di sanzioni aventi carattere punitivo, come quelle di specie, previste nell’ordinamento italiano per l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate.
Da qui la pronuncia odierna della Consulta: il diritto al silenzio impedisce di punire una persona fisica che si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto dalla Banca d’Italia o dalla Consob, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo o addirittura penale.
In ogni caso – ha comunque sottolineato la Corte - il diritto al silenzio non giustifica comportamenti ostruzionistici produttivi di indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza, quali il rifiuto di presentarsi a un’audizione, manovre dilatorie finalizzate a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa o l’omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta dell’autorità.
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