La sussistenza o meno del concorso tra reato di ricorso abusivo al credito e truffa è al centro della sentenza n. 36985/2019 della Corte di cassazione.
Secondo gli ermellini, il reato di ricorso abusivo al credito assorbe quello di truffa avendo il primo un’oggettività giuridica più ampia.
Nei fatti, un imprenditore è stato indotto a ricorrere abusivamente al credito bancario, sebbene già insolvente, emettendo fatture per operazioni inesistenti poi presentate alla banca dove l’impresa aveva un conto anticipo fatture, ottenendo una somma pari all’80% del fatturato.
Dei quattro motivi di ricorso presentati in cassazione, la sentenza n. 36985 del 3 settembre 2019 accoglie solo il quarto con cui l’imputato afferma che, ricorrendo un’ipotesi di concorso apparente di norme penali, la condotta di ricorso abusivo al credito assorbe il reato di truffa ai danni della banca.
I magistrati osservano che dopo la modifica all’art. 218 del RD n. 267/1942, per mano della legge n. 262/2005, occorre verificare se esiste il concorso tra i due reati e, in caso negativo, quale soluzione adottare.
Va messo in luce che “l’assunzione di ulteriore debito da parte di chi esercita un’attività di impresa e già versi in condizioni finanziarie e patrimoniali, tali da rendere improbabile il suo futuro adempimento, è condotta che reca danno non solo al patrimonio del soggetto che concede il nuovo credito e che dovrà sopportare il danno derivante dall’eventuale inadempimento – come avviene nel caso della truffa –, ma anche agli interessi di coloro che sono divenuti creditori in virtù di un titolo anteriore, poiché questi, in caso di insolvenza, concorreranno con il nuovo creditore e ciascuno di essi parteciperà in misura inferiore al riparto dell’attivo fallimentare”.
Proprio questo, si aggiunge, giustifica la punibilità d’ufficio del reato di ricorso abusivo al credito.
E’ pur vero che per aversi tale delitto l’imprenditore deve dissimulare il proprio stato di crisi ma non è necessario che, allo scopo di convincere il futuro creditore, ricorra a veri e propri artifici e raggiri allo scopo di indurre in errore l’altro contraente, come richiesto dall’art. 640 c.p.
In ogni caso, in tutti e due i comportamenti vi è l’intento truffaldino.
Nel ricorso abusivo al credito si gioca sull’ignoranza del creditore, non rendendolo edotto sulla situazione di crisi: tra gli elementi richiesti che caratterizzano tale delitto vi è l’appartenenza al mondo imprenditoriale e la necessità di una sentenza di fallimento.
Infatti, il delitto di ricorso abusivo al credito, anche dopo la sua modifica, è punibile solo laddove intervenga la sentenza dichiarativa di fallimento.
A fronte di quanto detto, deve sostenersi che tra le due norme sussiste un rapporto di specialità che, in base ai criteri dell’art. 15 c.p., consente di individuare nell’art. 218 del RD n. 267/1942 la disposizione prevalente.
Il reato di ricorso abusivo al credito, rispetto al delitto di truffa, ha un’oggettività giuridica più ampia, visto che è diretto a tutelare sia il patrimonio del nuovo creditore che quello dei creditori preesistenti, evitando che soggetti destinati al fallimento facciano ricorso al credito.
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