Il Tribunale di Milano, con due sentenze emesse a pochi giorni di distanza l’una dall’altra (2 e 5 febbraio 2007), accoglie le motivazioni praticamente identiche di due collaboratrici a progetto in merito alle indicazioni che devono essere rilasciate nel momento in cui si stipula un siffatto contratto. Il principio che ne deriva è che se nelle co.co.co. il “progetto” non è specificato con sufficienza, ma vengono semplicemente elencate le mansioni attribuite al lavoratore, senza far alcun riferimento all’obiettivo da raggiungere e alle attività funzionali al suo conseguimento, il rapporto di lavoro che si viene a costituire deve essere considerato subordinato fin da subito. Non spetta al committente, cioè, fornire alcuna prova contraria: se non c’è lavoro a progetto, c’è necessariamente lavoro subordinato, senza alternative. La novità delle due sentenze sta nella fermezza con cui il Tribunale di Milano interpreta l’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 276/03. Il legislatore, con l’espressione “sono considerati” fa discendere che la conversione prevista dal citato articolo opera di diritto e la pronuncia del giudice ha valore di accertamento. Perciò, il “divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto”, come previsto dal titolo dell’articolo 69, deve essere inteso nel senso che la conseguenza di un’eventuale atipicità è la conversione stessa del contratto. Se manca, cioè, l’elemento qualificante del contratto a progetto scatta l’automatismo che fa sorgere senza possibilità di dubbio la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
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