Il provvedimento con cui l’Amministrazione ingiunge, sia pur tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti di fatto e di diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongano la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe nemmeno nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di diverso tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso medesimo ed il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
E’ questo il principio espresso dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, respingendo il ricorso di taluni soggetti, avverso l’ordine di demolizione di opere abusive realizzate su un immobile di loro proprietà. In particolare, i ricorrenti lamentavano come l’abuso fosse ormai risalente nel tempo (da allora noto al Comune, che tuttavia non si era mai attivato) ed esclusivamente imputabile alla loro dante causa. Alla luce di ciò, parimenti lamentavano come l’Ente locale avesse omesso di motivare puntualmente il provvedimento demolitorio circa l’interesse pubblico sottostante, specie in considerazione dei seguenti elementi: la data di ultimazione dell’abuso, assai risalente nel tempo; la non coincidenza soggettiva tra il responsabile dell’abuso e gli attuali proprietari; la protratta inerzia della P.a. nell’assicurare la risposta sanzionatoria.
Chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale circa l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione, il Consiglio di Stato – con sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017 - ha deciso di aderire all’orientamento secondo cui l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non potrà mai legittimare. Va dunque sottolineato che laddove si desse rilievo, in siffatte ipotesi, al decorso del tempo – sia pure al solo fine di incidere sul quantum di motivazione richiesto all’amministrazione - si verrebbe a delineare una sorta di illegittima “sanatoria extra ordinem”.
Principio simile è stato espresso dal Consiglio di Stato – con sentenza n. 8 del 17 ottobre 2017 – in una vicenda ove l’inerzia del Comune era stata causata da una falsa dichiarazione del privato, che aveva trasformato l’immobile abusivo (avente finalità di alloggio) in un esercizio commerciale; per cui l’Amministrazione aveva provveduto ad annullare il titolo in sanatoria favorevole al privato solo a distanza di tempo, ossia dopo aver scoperto la falsa dichiarazione.
In tale occasione, l’Adunanza plenaria ha enunciato il principio per cui l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. Il mero decorso del tempo, tuttavia, di per sé non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio ed, in ogni caso, il termine “ragionevole” per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro. Infine, la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole, non consente di configurare in capo a lui alcuna posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione potrà dirsi in tal caso soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla falsa prospettazione di parte.
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