Il congedo per malattia del bambino spetta anche per le visite specialistiche

Pubblicato il 28 febbraio 2014

Tizio comunica al proprio datore di lavoro Caio che si assenterà dal lavoro al fine di sottoporre il proprio figlio a visita medica. A tal fine Tizio chiede di poter fruire del congedo per malattia del bambino. Al rientro in servizio Tizio deposita la documentazione rilasciata dall’ospedale attestante la sottoposizione del figlio a visita specialistica. Il datore di lavoro Caio nega l’utilizzazione del congedo richiesto e imputa l’assenza di Tizio a ferie. Il diniego viene motivato sull’assunto che la documentazione prodotta in primo luogo non certificherebbe uno stato di malattia, ma attesterebbe un semplice dato fattuale costituito dallo svolgimento di visite mediche, in secondo luogo risulterebbe rilasciata da un soggetto a ciò non abilitato, riconoscendosi tale facoltà unicamente al pediatra convenzionato con il SSN. Tizio indispettito espone i fatti al personale ispettivo della DTL per le verifiche di competenza. Quali conseguenze è prevedibile attendersi dagli ispettori?



Premessa

Il congedo per la malattia del figlio costituisce un istituto volto a sostenere la maternità e la paternità, poiché consente in via alternativa a entrambi i genitori, anche adottivi o affidatari, di potersi assentare dal lavoro al fine di svolgere, nel momento del bisogno, l’essenziale funzione familiare in favore del figlio. Al riguardo ci si chiede se il concetto di bisogno sia circoscritto alla malattia in quanto tale ovvero quest’ultima possa ricomprendere anche le attività correlate allo stato di convalescenza, tra le quali si annoverano le visite specialistiche, che sono finalizzate al riconoscimento e all’eventuale cura della patologia, ma che non vengono attestate dal medico con certificato di malattia. La valutazione della questione postula un esame preliminare dell’istituto.

Il congedo per malattia del bambino

Originariamente la disciplina del congedo per malattia del bambino era contenuta nell’art. 7 della L. n. 1204/71 che conferiva ai genitori, alternativamente, la facoltà di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato. Tale disciplina è stata sostanzialmente ripresa dall’art. 47 del D.lgs. n. 151/01 e affonda la ratio nell’esigenza di apprestare un concreto aiuto ai genitori nel momento di malattia della prole.

Si tratta di un diritto potestativo, che si concretizza nel potere del lavoratore di sospendere unilateralmente - ovviamente ricorrendo tutte le circostanze giustificative - la prestazione lavorativa in ragione della tutela del bene primario della salute del bambino. Tale diritto viene riconosciuto in via alternativa ai genitori lavoratori dipendenti, sia pubblici sia privati, nel senso che l’utilizzazione del congedo da parte di uno dei genitori preclude all’altro di poter fruire dell’istituto per le stesse giornate. Certo è che tale istituto spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto. Il congedo sospende le principali prestazioni del rapporto di lavoro perché se il lavoratore non è tenuto a eseguire la propria attività dall’altro lato il datore di lavoro non è obbligato a corrispondere la retribuzione, salvi eventuali trattamenti di maggior favore previsti dai contratti collettivi di settore. Ai sensi dell’art. 48 comma 1 del D.lgs. n. 151 cit. “i periodi di congedo per la malattia del figlio sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”. Il congedo è utilizzabile fino a che il bambino non ha concluso l’età di otto anni. Il dato anagrafico della prole incide anche sui periodi di astensione nel senso che:

  1. nei primi tre anni di vita del bambino il congedo è utilizzabile senza limiti di tempo e per le assenze relativa è dovuta la contribuzione figurativa;

  2. dai quattro agli otto anni di età del bambino, il congedo invece è utilizzabile da ciascun genitore nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno, per un massimo di dieci giornate di lavoro complessive, le quali sono coperte da contribuzione volontaria al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 35 del D.lgs. n. 151 cit..


Durante il periodo di astensione dal lavoro il datore di lavoro non può applicare le disposizioni previste in materia di visita fiscale
(divieto di cui all’art. 47 comma 5 del D.lgs. n. 151 cit.).

La documentazione da corredare alla domanda di congedo

Uno dei punti salienti della disciplina riguarda la documentazione da corredare alla domanda di congedo. La questione non si pone per gli stati di malattia certificati dal medico curante convenzionato con il SSN, essendo quest’ultima l’ipotesi classica e fisiologica, per la quale è stato introdotto l’istituto in commento.

Possono invece sorgere problematiche per gli accertamenti a cui il bambino venga sottoposto in ambulatori privati o persino in ospedale proprio per verificare la sussistenza o meno di uno stato di malattia ovvero per comprendere l’eventuale decorso di una patologia accertata in passato da idonee strutture pubbliche o private. Il riferimento riguarda le visite specialistiche di controllo, la cui documentazione infatti non certifica un processo morboso in atto e quindi una malattia, ma attesta unicamente che il paziente è stato sottoposto ad accertamenti diagnostici.

Dal punto di vista letterale la formulazione originaria dell’art. 47 comma 3 disponeva che “per fruire dei congedi di cui ai commi 1 e 2 il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato”. La disposizione è stata sostituita dall’art. 7 comma 3 lett. a) del D.L. 18 ottobre 2012/179 conv. con modifiche dalla L. n. 221/12, che ha previsto modalità di certificazioni telematiche corrispondenti a quelle previste per l’attestazione degli stati di malattia del dipendente. Le modalità tecniche di trasmissione nonché la determinazione dei modelli di certificazione sono stati demandati ad apposito decreto tuttora non emanato.

Stante l’assenza della norma tecnica di attuazione della norma di legge, allo stato attuale occorre ancora applicare l’art. 47 comma 3 del D.lgs. n. 151 nella versione originale, sicché l’istanza per la fruizione del congedo di malattia del bambino deve essere corredata dal lavoratore mediante consegna al datore di lavoro della documentazione attestante la malattia del proprio figlio, rilasciata “da un medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato”.

Se si considera che l’art. 25 comma 3 della L. n. 833/78 dispone che “l’assistenza medico-generica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino”, ne segue che lo stato di malattia può essere certificato tanto dai medici specialistici incardinati come dipendenti nelle strutture ospedaliere, quanto da pediatri che esercitano la libera professione (c.d. pediatri di libera scelta) sempre che gli stessi siano convenzionati con il SSN.

Il concetto di malattia

Ciò chiarito si pone così la questione se il termine “malattia” contenuto nella norma di legge risulti circoscritto a un qualsiasi stato patologico o di alterazione dell’organismo o di un suo organo dal punto di vista anatomico o funzionale, ovvero comprenda il periodo di convalescenza in cui il bambino, dopo il superamento dei sintomi acuti, necessiti dell’assistenza genitoriale per prevenire ricadute ed assicurare il completo ristabilimento.

  1. L’orientamento giurisprudenziale restrittivo

Secondo un indirizzo giurisprudenziale formatosi sotto la vigenza dell’art. 7 della L. n. 1204/71 per malattia dovrebbe intendersi l’alterazione dello stato di salute per fatti morbosi acuti. Tale indirizzo restrittivo porta a escludere dal novero delle malattia le infermità di carattere permanente e cronico che richiedono un’ininterrotta assistenza. Considerato il fatto che nei primi tre anni di vita del bambino il congedo per malattia non è temporalmente limitato, tale orientamento sembra mosso dall’opportunità di scongiurare l’eventualità che il genitore possa astenersi dal lavoro, anche se senza retribuzione, per un periodo molto lungo e che estremizzando potrebbe comprendere l’intero arco di tempo che va da zero a tre anni della prole. Tale indirizzo, per un verso potrebbe giustificare il contenimento del concetto di malattia agli stati morbosi acuti, per altro verso tuttavia mal si concilia con la lettera della norma, la quale infatti non sembra predicare un distinguo tra malattie croniche o malattie temporanee. Peraltro, e ciò che rileva ai fini del presente contributo, una volta che il concetto di malattia venga circoscritto agli stati morbosi acuti si potrebbe persino sostenere che in esso non potrebbero comprendersi i trattamenti medici come le visite o le terapie eseguite durante periodi in cui l’evento morboso non manifesta sintomi evidenti.

  1. La tesi che equipara le visite specialistiche alla malattia

Altro approccio interpretativo invece ritiene che sia irrilevante che la malattia tragga origine da un evento improvviso ovvero si presenti come riacutizzazione di una malattia cronica, essendo invero sufficiente che richieda delle cure, delle quali si debbano far carico i genitori. Si tratta di un orientamento condivisibile e in linea con la ratio del congedo, volta a riconoscere e proteggere il ruolo del genitore chiamato ad apprestare una significativa tutela alla prole, specie ove quest’ultima risulti affetta da alterazioni anatomiche o funzionali. Viene così messo in risalto il valore centrale del rapporto genitore-bambino, visto sotto il profilo dell’assidua partecipazione dei primi allo sviluppo fisico e psichico del secondo, dandosi in tal modo attuazione agli artt. 31 e 37 Cost., che assicurano la tutela dell’infanzia, della famiglia e della maternità.

Sulla scorta di tale indirizzo si spiega l’esegesi accolta dalla Suprema Corte per cui l’assenza dal lavoro causata dalle malattie del bambino “[…] deve essere necessariamente recepita nel significato di assenze effettuate in connessione con le malattie del bambino, e pertanto anche in relazione alle necessità attinenti alla fase convalescenziale”.

Lungo tale prospettiva è stato affermato che attese le finalità della legge “[…] attuativa del precetto costituzionale secondo cui le condizioni di lavoro devono consentire alla lavoratrice l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e devono assicurare alla madre una speciale adeguata protezione [per malattia deve intendersi] non soltanto la fase acuta di alterazione patologica in atto, ma anche quella della convalescenza in cui il bambino, dopo il superamento dei sintomi acuti, deve ancora recuperare le proprie normali condizioni biopsichiche e quindi ha necessità dell’assistenza materna per prevenire ricadute ed assicurare il completo suo ristabilimento”.

Logico corollario di tale impostazione è quello di ritenere che la malattia includa “[] non soltanto lo stato patologico in atto, ma anche l’esigenza terapeutica connessa a tale stato. Si tratta di un indirizzo applicato anche dalla giurisprudenza di merito la quale recentemente ha affermato che le assenze dal lavoro per visite mediche, accertamenti clinici preventivi e diagnostici sono equiparate, in tutto e per tutto, alle assenze per malattia.

L’orientamento è logico e ragionevole ed è perfettamente aderente con le finalità delle visite, che vengono eseguite per cercare di superare stati di incertezza, i quali, proprio perché attengono al bene primario delle salute, anziché attenuare, accrescono le esigenze di protezione del minore. D’altro canto sarebbe irragionevole escludere l’operatività di istituti che, come il congedo per malattia del bimbo, sono volti essenzialmente, quando non esclusivamente, ad agevolare il processo di sviluppo anche relazionale ed affettivo del bambino, soprattutto in situazioni particolarmente delicate, quale sono quelle correlate a visite specialistiche.

Alla luce di tali considerazioni si può passare all’esame del caso concreto.

Il caso concreto

Tizio ha comunicato al proprio datore di lavoro Caio che si sarebbe assentato dal lavoro per sottoporre il proprio figlio a visita medica. A tal fine Tizio ha chiesto di poter fruire del congedo per malattia del bambino. Al rientro in servizio Tizio ha depositato la documentazione rilasciata dall’ospedale attestante la sottoposizione del figlio a visita specialistica. Sennonché il datore di lavoro Caio ha negato l’utilizzazione del congedo richiesto e ha imputato l’assenza di Tizio a ferie. Il diniego è stato motivato sull’assunto che la documentazione prodotta non certificherebbe uno stato di malattia, ma un semplice dato fattuale costituito dallo svolgimento di visite mediche e oltretutto risulterebbe rilasciata dal presidio ospedaliero e non dal pediatra convenzionato con il SSN. Sulla scorta di tale diniego Tizio ha esposto i fatti al personale ispettivo della DTL per le verifiche di competenza. In ragione delle circostanze esposte è prevedibile una censura della condotta di Caio.

Infatti, considerato che la certificazione richiesta per la fruizione del congedo di cui all’art. 47 del D.lgs. n. 151 può essere rilasciata anche da un medico specialistico e dipendente del SSN e considerato che la visita eseguita da quest’ultimo sul bambino costituisce accertamento equiparato allo stato di malattia, ne segue che la documentazione rilasciata dal presidio ospedaliero attestante la sottoposizione della prole ad accertamenti diagnostici costituisce atto idoneo a sussumere l’assenza del lavoratore nell’istituto del congedo per malattia del bambino. Ne segue che il diniego opposto dal datore di lavoro a Tizio costituisce una chiara violazione dell’art. 47 del D.lgs. 151 cit. poiché integra gli estremi del rifiuto, dell’opposizione o dell’ostacolo all’esercizio del suddetto diritto e che, ai sensi dell’art. 52 del D.lgs. n. 151 cit. viene assoggetta a sanzione amministrativa da 516 euro a 2.582 euro, senza procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04.


NOTE

i Cfr. art. 47 comma 6 D.lgs. n. 151 cit..

ii Nel settore del pubblico impiego i comparti ministeriali prevedono l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere comunque la retribuzione durante il periodo di assenza.

iii Cfr. art. 49 comma 1 D.lgs. n. 151 cit.; cfr. circolare INPS 15 del 2001.

iv L’art. 47 comma 3 del D.lgs. n. 151 cit. recita: “la certificazione di malattia necessaria al genitore per fruire dei congedi di cui ai commi 1 e 2 è inviata per via telematica direttamente dal medico curante del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, che ha in cura il minore, all’Istituto nazionale della previdenza sociale, utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al decreto del Ministro della salute in data 26 febbraio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010, secondo le modalità stabilite con decreto di cui al successivo comma 3-bis, e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, al datore di lavoro interessato e all’indirizzo di posta elettronica della lavoratrice o del lavoratore che ne facciano richiesta”.

Il successivo comma 3-bis dispone che “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro il 30 giugno 2013, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della salute, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, sono adottate, in conformità alle regole tecniche previste dal Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le disposizioni necessarie per l’attuazione di quanto disposto al comma 3, comprese la definizione del modello di certificazione e le relative specifiche”.

v Cons. Stato Sez. V, 25/02/1991, n. 184; T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 06/04/1995, n. 81; T.A.R. Lombardia Sez. I, 06/02/1993, n. 163; Trib. Catania, 28/12/1987; T.A.R. Veneto Sez. II, 03/09/1987, n. 687.

vi T.A.R. Lombardia Sez. I, 18/09/1992, n. 550; per certi aspetti non dissimile Cons. Stato Sez. V, 14/11/1995, n. 1572 anche se in motivazione si torna ad affermare la legittimità delle assenze solo durante il riacutizzarsi della patologia cronica.

vii Cfr. Corte Cost. sentenza n. 1 del 1987.

viii Cass. civ. Sez. lavoro, 06/02/1988, n. 1293.

ix Cass. civ. Sez. lavoro, 04/04/1997, n. 2953.

x Cass. civ. Sez. lavoro, 05/09/1988, n. 5027.

xi Tribunale di Catanzaro – I^ sezione civile lavoro n. 1097 del 01.10.2013. Nel pubblico impiego privatizzato l’esegesi de qua era stata giò formulata dall’ARAN (cfr. orientamento applicativi_M75 – quesito “le visite mediche, le prestazioni specialistiche e gli accertamenti diagnostici rientrano nel calcolo del periodo di comporto previsto dall’art. 21, comma 1 del CCNL del 16”).

xii Per quanto concerne le finalità di protezione del minore cfr. Corte cost., 24/03/1988, n. 332.

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