Il congedo parentale: fruizione, divieto di diniego, contemperamento con le esigenze aziendali e abuso
Pubblicato il 17 luglio 2014
Il diritto
Ai sensi dell’art. 32,
D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001,
ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro
nei primi otto anni di vita del bambino per fruire del congedo parentale e – poiché si tratta di un diritto personale che spetta al singolo genitore - il padre o la madre ne possono usufruire indipendente dal fatto che l’altro ne abbia o meno diritto (potrà quindi beneficiare del congedo parentale anche un genitore lavoratore, nel caso in cui l’altro sia disoccupato).
Il periodo di astensione complessivo fra i due genitori non può superare il
limite di 10 mesi e, nell’ambito del suddetto limite, il diritto compete:
- alla
madre lavoratrice, dopo il congedo di maternità e per un periodo, anche frazionato, non superiore a sei mesi;
- al
padre lavoratore, dalla nascita e quindi anche quando la madre usufruisca del congedo di maternità, per un periodo anche frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso in cui eserciti il diritto per un periodo non inferiore a 3 mesi.
Qualora il padre usufruisca del congedo parentale per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato ad undici mesi.
L’INPS, con circolare n. 109 del 6 giugno 2000, ha chiarito che i periodi possono essere ripartiti tra madre e padre secondo le proprie necessità, fermo restando che:
- la madre non può comunque superare i sei mesi di astensione;
- l’elevazione a sette mesi del padre è possibile solo se la madre non superi i 4 mesi.
Il
genitore solo ha diritto ad un periodo continuativo o frazionato fino a 10 mesi, entro l’ottavo anno di età del bambino.
In proposito si precisa che la situazione di "genitore solo" può verificarsi in caso di:
- morte di un genitore;
- abbandono del figlio da parte di uno dei genitori;
- affidamento del figlio ad uno solo dei genitori, risultante da un provvedimento formale;
- non riconoscimento del figlio da parte di un genitore;
- grave infermità, anche temporanea, di un genitore.
In caso di
parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire, per ogni nato, del numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32, D.Lgs. n. 151/2001; quindi, in pratica, anche il limite massimo dei mesi usufruibile va moltiplicato per il numero di gemelli nati.
La fruizione frazionata ed a ore
Il congedo parentale è godibile anche in modo frazionato e, in questo caso, è necessaria la
ripresa effettiva del lavoro tra una frazione e l’altra, ripresa non rinvenibile nelle ferie (INPS, circolare n. 82 del 2 aprile 2001).
In pratica, come chiarito dal messaggio INPS n. 28379 del 25 ottobre 2006, qualora il genitore, a seguito di un periodo di congedo parentale, fruisca, immediatamente dopo, di giorni di ferie o malattia, riprendendo quindi l’attività lavorativa, le giornate festive e i sabati (in caso di settimana corta) cadenti tra il sopra indicato periodo di congedo parentale e le ferie o la malattia, non vanno computate in conto congedo parentale.
Al contrario, quando ad un primo periodo di congedo parentale segua un periodo di ferie o di malattia ed un ulteriore periodo di congedo parentale, i giorni festivi ed i sabati (in caso di settimana corta), che si collocano immediatamente dopo il primo periodo di congedo ed immediatamente prima del successivo, devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale.
Inoltre, con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001, ad opera della Legge n. 228 del 24 dicembre 2012, il congedo parentale può essere
fruito anche ad ore ma, per poter fruire di tale possibilità, è necessario un
intervento della contrattazione collettiva che stabilisca le modalità, i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.
Il diniego
Si ritiene, in generale, che il datore di lavoro
non possa limitare la fruizione del congedo parentale del genitore e, a sostegno di tale tesi, si evidenzia che, proprio recentemente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 15078 del 2 luglio 2014, ha ritenuto illegittimo un licenziamento intimato ad una lavoratrice per assenza ingiustificata.
In realtà, nel caso di specie non si trattava proprio di assenza ingiustificata in quanto la lavoratrice si era assentata nel periodo di congedo parentale comunicato, a seguito di diniego da parte del datore di lavoro.
Ma per la Cassazione,
non essendo possibile limitare la fruizione del diritto in questione, il licenziamento intimato è stato ritenuto illegittimo perché fondato su un presupposto inesistente e
contra legem, ossia la possibilità per il datore di lavoro di interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo parentale.
D’altra parte, evidenzia la sentenza, è
nullo per legge il
licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale (art. 54, D.Lgs. n.151/2001).
Inoltre, si evidenzia che l’art. 38 del D.Lgs. n. 151/2001 punisce il
rifiuto, l’
opposizione o l’
ostacolo all’esercizio del diritto al congedo parentale con la sanzione amministrativa da € 516 ad € 2582.
Il contemperamento con le esigenze aziendali
Nonostante l’Accordo quadro europeo sul congedo parentale, allegato alla Direttiva 2010/18/EU, permetta agli Stati membri ed alle parti sociali di definire le circostanze in cui il datore di lavoro - previa la consultazione a norma delle leggi, dei contratti collettivi e/o delle prassi nazionali - sia autorizzato a rinviare la concessione del congedo parentale per giustificati motivi connessi al funzionamento dell'impresa, il legislatore italiano ha scelto di non porre limiti al godimento del congedo parentale per garantire le esigenze aziendali.
Tuttavia, la dottrina e, in alcuni casi, anche la giurisprudenza, ritiene che all’art. 32 del Testo Unico sulla maternità e paternità occorre dare un’interpretazione costituzionalmente orientata nel senso di ammettere la
necessità di un contemperamento tra le esigenze del genitore che intende fruire del congedo parentale in maniera frazionata e l’interesse dell’organizzazione aziendale, tutelata dall’art. 41 Cost.
Per il momento, però, il legislatore ha solo previsto, aggiungendo il comma 1-bis al più volte citato art. 32, che per il personale del comparto sicurezza e difesa, di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva debba prevedere, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo parentale.
L’abuso del congedo parentale
Con circolare n. 62 del 29 aprile 2010, l’INPS ha chiarito che il genitore in congedo parentale
non può intraprendere una nuova attività lavorativa e, in caso contrario – sia che l’attività sia dipendente, parasubordinata o autonoma - egli non ha diritto alla relativa indennità e deve rimborsare all’Istituto quanto eventualmente indebitamente percepito.
L’incompatibilità sussiste anche nei casi in cui il periodo di congedo non sia indennizzabile per superamento dei limiti temporali e reddituali di legge.
Norme e prassi
Art. 41 Costituzione
Artt. 32 e seguenti, D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001
Direttiva 2010/18/EU
Legge n. 228 del 24 dicembre 2012
INPS, circolare n. 109 del 6 giugno 2000
INPS, circolare n. 82 del 2 aprile 2001
INPS, messaggio n. 28379 del 25 ottobre 2006
INPS, circolare n. 62 del 29 aprile 2010
Corte di Cassazione, sentenza n. 15078 del 2 luglio 2014