Il fatto di reato per il quale il lavoratore è stato penalmente condannato può assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro, legittimando il licenziamento disciplinare.
Con ordinanza n. 14114 del 23 maggio 2023, la Sezione lavoro della Cassazione ha accolto il ricorso promosso da una società contro la declaratoria di illegittimità del recesso per giusta causa che la stessa aveva intimato ad un proprio dipendente.
La Corte d'appello aveva ritenuto che la condotta contestata al lavoratore - una condanna penale in via definitiva per violenza sessuale a carico di una minorenne, perpetrata in una discoteca - non fosse connotata da particolare gravità tenuto conto del tempo trascorso da quel fatto e della mancanza di altre violazioni di legge.
La datrice di lavoro si era rivolta alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e delle disposizioni del CCNL concretamente applicabile.
Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Corte di legittimità: la Corte territoriale era incorsa nella denunciata violazione, con particolare riferimento alla disciplina della giusta causa di recesso.
Per gli Ermellini, era erroneo ed irragionevole che i giudici di merito, nell’effettuare il giudizio di proporzionalità della condotta e nel valutarne la gravità ai fini della sussistenza o meno della giusta causa di licenziamento, avessero ritenuto di non poter sussumere il fatto pacificamente accertato nella sua materialità nella norma generale.
La loro valutazione risultava incoerente rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale: una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto commessa, rappresenta - secondo uno standard socialmente condiviso - una condotta grave che, per quanto estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario.
E ciò, a prescindere dal contesto in cui la stessa era stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione qualora - come nella specie - l’attività lavorativa svolta poneva il lavoratore a diretto contatto col pubblico.
Senza dubbio, tale comportamento, per quanto risalente nel tempo, rivestiva carattere di gravità che non poteva essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso.
La medesima condotta, del resto, non poteva nemmeno essere considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, solo perché si era svolta in un luogo deputato al divertimento.
I giudici di gravame, inoltre, avevano trascurato di considerare che, a norma del CCNL applicabile, la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso trovava applicazione nel caso di “condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario”.
Ebbene, in base a tale previsione, il giudice era tenuto a valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale e con efficacia di giudicato, senza che, a tal fine, fossero rilevanti altri elementi di contorno, come il tempo trascorso e l’unicità del fatto.
Da qui l'accoglimento del ricorso dell'azienda, con rinvio alla Corte di appello anche per le spese del giudizio di legittimità.
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